mercoledì 18 giugno 2014

Equilibri precari e certezze a casaccio

Ultimamente tutti i miei pensieri iniziano con "sometimes I feel like I don't know", come "Ultraviolet" degli U2.

E' un periodo di incertezze, questo. 
Ma lo sapevo, e proprio perchè l'ho sapevo ho fatto in modo che venisse preceduto da un periodo in cui mi sono goduta al massimo tutte le mie certezze. Prima di partire ho passato del tempo con la mia famiglia, con i miei amici, a casa mia, nel mio bar di fiducia, a bearmi della mia routine che spesso ho odiato, ma ora ogni tanto mi manca.
L'ho fatto perchè sapevo che poi sarei arrivata qui, e mi sarei sentita così, "like I don't know".
Se mi metto anche solo per un attimo a pensare alle cose che so, rimango spiazzata completamente.

- So che Londra è un posto strano, profondamente affascinante ma anche pericoloso: questa città ha un modo tutto suo di distrarti dai tuoi obiettivi.
- So che ho un letto in cui dormire, un tetto (pericolante) sulla testa e qualcosa da mangiare in frigo, almeno per oggi.
- So che se mi perdo basta che io ritrovi la Piccadilly, poi arrivare a casa è un attimo.
- So che se mi perdo, in un altro senso, basta una telefonata a casa.
- So che quando attacco il telefono mi sento contemporaneamente più forte e più sola.
- So cosa mi piace fare, e cosa non mi piace fare.
Ma soprattutto
- So a quanti e quali compromessi sono disposta a scendere pur di arrivare dove voglio arrivare.

Dall'altro lato
- Non so come arrivare dove voglio arrivare.
- Non so se, come e quando ci arriverò.
- Non so come fanno i londinesi a bere in piedi sul marciapiede tutte le sante sere, quando a me piace così tanto starmene bella seduta su una sedia.
- Non so come si possa vivere senza prosecco.
- Non so se tutte queste paure possono essere classificate come "crescere" o come "cagarsi sotto".
- Non so se sono abbastanza brava, determinata, forte, audace... insomma, abbastanza.

L'incertezza non è uno stato piacevole in cui vivere, ma è uno stato di transizione, e ogni mattina mi alzo e scelgo di non vederla come una cosa negativa: se uno perde l'equilibrio, poi deve muoversi per forza.


domenica 1 giugno 2014

Take courage


Due anni fa ero a Londra in vacanza con le amiche, e camminavamo beate nei pressi di London Bridge, guardandoci intorno senza una meta precisa. Per la cronaca, io sono sempre stata una di quelle persone che cammina con il naso all'insù e non guarda mai dove mette i piedi.
Insomma, camminavamo e chiacchieravamo. Era marzo e, incredibilmente, c'era il sole.
Tra una risata e l'altra il mio sguardo, sempre puntato verso il cielo, ha intravisto qualcosa di strano. E lì, all'ombra di un ponte, nascosto tra i palazzi, c'era un'insegna, scritta sul muro di un edificio di mattoncini rossi, con un messaggio potente.
Così inaspettata e provvidenziale che c'era quasi da chiedersi se qualcuno l'avesse messa lì apposta per noi.

Senza pensarci due volte ho scattato una foto. 
Poi abbiamo continuato a camminare, la nostra vacanza è andata avanti, siamo tornate a casa and the rest, as they say, is history.

Da quando sono qui non faccio che pensare a quella scritta sull'edificio di mattoncini rossi.

E' stato un mese strano. Ho imparato delle cose, ne ho capite altre, altre ancora le ho dimenticate, ad altre ho smesso di credere.

Sono stata sola, dopo tanto tempo.
Ci sono stati momenti in cui ero letteralmente da sola, senza nessuno intorno, e mi sentivo schiacciata dal peso delle mie aspettative e della vita che avevo scelto per me stessa. Altre volte invece sono stata sola in mezzo ad un mare di persone, e ho apprezzato la mia solitudine. Ho deciso di accoglierla e di accudirla, di farne il mio punto di forza. Ho scelto la solitudine, e ho scelto di non subirla.

Ho dubitato e ho cambiato direzione.
Continuamente, ogni cinque minuti e ogni due giorni. 
Ho seriamente iniziato a sentire la paura del futuro, ho perso un po' di fiducia nelle mie capacità e ho realizzato improvvisamente quanto duramente bisognerà che io lavori per arrivare dove voglio. Di nuovo, ho avuto paura della vita che ho scelto per me stessa. Di nuovo, ho abbracciato la solitudine e mi è sembrato chiaro che farne tesoro fosse l'unico modo per arrivare dove voglio, per ora. Finchè non ci sarà qualcuno per cui varrà la pena abbandonarla.

Ho sentito nostalgia di casa, forte come mai prima. Neanche in America, a diecimila chilometri da qualsiasi cosa fosse anche remotamente familiare, mi ero sentita così nostalgica. Il primo giorno il mio unico pensiero è stato "prendo il primo aereo, torno a casa". L'ho pensato per ore e ore, guardando il soffitto pericolante della mia nuovissima camera da letto. Poi mi sono addormentata. La mattina dopo c'era il sole: è incredibile, il potere del sole. Il sole mette tutto in prospettiva, tutto sotto una luce migliore. Certi demoni semplicemente svaniscono alla luce del sole.

E' stato un mese strano. Drasticamente veloce, dolorosamente lento.
Sono successe tante cose, la maggior parte dentro di me. Ho preso cento decisioni, ho cambiato idea centouno volte.

Ma quando torno a casa la sera con la spesa,
quando mi mancano i miei amici e la mia famiglia,
quando vorrei condividere qualcosa con qualcuno,
quando mi siedo sotto la pioggia a guardare Tower Bridge,
quando sento una canzone che vorrei cantare,
quando la metro ci mette un'ora più del dovuto,
quando vorrei un abbraccio e niente più,
quando apro la casella email e nessuno mi ha scritto,
quando mi sveglio la mattina e non so cosa fare per il resto della giornata,
quando prendo per mano la mia solitudine e la porto con me in giro per la città,
penso sempre a quella scritta sull'edificio di mattoncini rossi, nascosta tra i palazzi da qualche parte a Southwark.

Oggi qualcuno che mi conosce bene mi ha detto che sono coraggiosa.
Tra tutte le parole che userei per descrivere me stessa, "coraggiosa" non è neanche tra le prime dieci.
Poi, come succede ogni cinque minuti, il pensiero è tornato alla scritta sul muro. 
E lì ho capito
Sono salita in metro, ho passato il viaggio a cercare la canzone giusta per il momento catartico. Sono arrivata a London Bridge e ho iniziato a camminare, che è il mio nuovo passatempo preferito.
Sobbalzavo ad ogni vicolo, chiedendomi se la mia scritta fosse proprio dietro l'angolo. Non sapevo dove stavo andando, e Londra non è piccola, e i dannatissimi palazzi di Southwark sono tutti uguali, tutti di mattoncini rossi.
Poi mi sono girata, ed era là. L'ho trovata. Semi nascosta da un'albero, illuminata da un sole molto tiepido, nitida e prepotente come la prima volta che l'ho vista.

Io ci credo fermamente, nel coraggio. Credo anche nella paura. Credo che siano due concetti così fortemente legati da non potere esistere l'uno senza l'altro, se non c'è paura non c'è coraggio e viceversa.
E' per questo che penso sempre alla scritta sul muro da qualche parte a Southwark.

E' per questo che, ogni volta che ho paura, prendo coraggio.