mercoledì 14 ottobre 2015

Luna Park

Da dove viene il coraggio? Da dove parte, nel cervello, quello stimolo che ci spinge a fare qualcosa, quel passo in più che fa paura, ma che forse, un domani, porta alla felicità? O almeno alla non-infelicità?
Mi manca il coraggio che mi costringe ad insistere di fronte al più piccolo dei contrattempi. Il computer che è lontano. L’orologio che mi ricorda che tra meno di sette ore devo essere in piedi di nuovo, e affrontare altre facce, altre discussioni. La password che mi dimentico sempre. Tutto è una complicazione, tutto va bene purchè mi costringa a non concretizzare il sospetto che di fronte a una pagina bianca io sono impotente, vuota, inadeguata.
Forse mi manca così tanto perché lo conosco, una volta quel coraggio c’era. Non vanificava solo il tentativo dei contrattempi deboli, ma era la mia forza di fronte a qualsiasi tipo di avversità. Il computer che non era neanche il mio. L’orologio che mi ricordava che tra meno di tre ore avrei dovuto essere in piedi di nuovo, e affrontare altre facce, altre discussioni. La password che non ne voleva sapere di funzionare.
Mi manca il coraggio di sapere se è questa o no la mia dimensione: quella che mi porta di fronte a una pagina bianca, armata solo di qualche idea e di un briciolo di coraggio. E’ questo che voglio fare, confrontarmi ogni giorno con i miei sospetti e le mie paure? E’ la paura di uscirne sconfitta che mi impedisce di provare a provare?
L’unica cosa che si frappone tra me e quello che voglio fare sono io. Sono la motivazione e il deterrente insieme, e da tanto tempo il deterrente è troppo convincente. E’ perché non lo penso che non lo scrivo, o devo scriverlo per poterlo pensare?

Una persona più saggia di me una volta mi ha detto, in un modo che ai tempi avevo trovato brusco ma che forse, col senno di poi, lo era troppo poco, che dovevo scegliere un obiettivo, perché una persona, senza mira, si perde.
Ai tempi mi aveva fatto paura. Mi aveva ricordato una frase che ha detto una volta un’altra persona più saggia di me: “I’m intimidated by the fear of being average”. Però io, ai tempi, avevo soltanto un po’ di ansia lontana di essere nella media. Ironia della sorte, qualsiasi cosa io abbia fatto da quel momento in poi non ha fatto altro che confermare quella paura astratta finchè non è diventata un orrore quotidiano e paralizzante.
Adesso so che l’unica cosa che mi renderebbe diversa dalla media sarebbe fare qualcosa, eppure non sto facendo niente.
Sto dando consapevolmente a me stessa la possibilità di fare quello che non permetterei a nessun altro di farmi: fermarmi. Impedirmi di essere quello che vorrei, di fare quello che vorrei e di essere felice.
Sono intrappolata nel bosco in cui mi sono persa. Sono il coniglio che ha seguito il Bianconiglio nel bosco e poi non ha avuto il coraggio di entrare nel Paese delle Meraviglie. E sono anche il lupo che segue il coniglio in silenzio, e non lo perde mai d’occhio aspettando il momento giusto per attaccare e mangiarselo.
La parte peggiore è che il bosco è magico: è un posto bello, verde e pieno di sole in cui vivono tanti conigli e si sta, tutto sommato, abbastanza bene, ma un attimo dopo è improvvisamente diventato una foresta buia e insidiosa, gli occhi del lupo brillano nell’oscurità e quanto vorrei aver seguito il Bianconiglio, perché ovunque sarebbe meglio di questo maledetto bosco.
E poi eccola: la tana, la via di fuga, la salvezza. La porta che mi porterebbe alla luce. Però dovrei entrare nel Paese delle Meraviglie, e io non lo so cosa succede nel Paese delle Meraviglie. Potrei perdermi di nuovo, avere più paura di quanta ne ho adesso. Potrei non farcela ad arrivare dall’altra parte. Potrei inciampare al primo ostacolo e rimpiangere di non essere rimasta nel bosco, perché quando non era buio, in fondo, il bosco non era poi tanto male.
Gli occhi del lupo mi osservano mentre scelgo ogni volta di rimanere nel bosco, e si avvicinano ogni giorno. A volte, se lo guardo bene, mi sembra che il lupo mi stia implorando di saltare nella tana del Bianconiglio. Il suo sguardo inquisitorio fa il tifo per me, perché il lupo preferirebbe che io mi perda nel Paese delle Meraviglie, con la speranza di vedere un giorno la luce, altrimenti il lupo dovrebbe mangiarmi.
Il lupo non vuole mangiarmi ma io preferisco comunque aspettare che sia costretto a farlo, invece di saltare e avere una possibilità di salvarmi.

Se non lo faccio a cosa sono servite le ore passate di fronte a uno schermo nel cuore della notte? Perché tutte quelle occasioni buttate per fare solo questo? Perché le esperienze, perché le emozioni, perché la voglia di raccontarle? Che senso ha avuto tutto, se non lo scrivo?
Che senso ho io, se non scrivo?


Questo è quello che voglio ricordare, quando il computer è lontano, l’orologio mi ricorda l’orario improponibile e la password non vuole funzionare. Il brivido della passione che diventa qualcosa di innegabile, che mi guarda nero su bianco. La consapevolezza che la paura non è altro che un cagnolone dagli occhi buoni che mi guarda spronandomi a salvarmi. La curiosità per il Paese delle Meraviglie, che forse è pericoloso ma forse, perché no, è un luna park. La certezza che un solo secondo vissuto dall’altra parte è meglio di un anno da coniglio, perché il bosco non è poi così male, ma “non è poi così male” non è quello che voglio. Io ero venuta per il luna park.