Da dove viene
il coraggio? Da dove parte, nel cervello, quello stimolo che ci spinge a fare
qualcosa, quel passo in più che fa paura, ma che forse, un domani, porta alla
felicità? O almeno alla non-infelicità?
Mi manca il
coraggio che mi costringe ad insistere di fronte al più piccolo dei
contrattempi. Il computer che è lontano. L’orologio che mi ricorda che tra meno
di sette ore devo essere in piedi di nuovo, e affrontare altre facce, altre discussioni.
La password che mi dimentico sempre. Tutto è una complicazione, tutto va bene
purchè mi costringa a non concretizzare il sospetto che di fronte a una pagina
bianca io sono impotente, vuota, inadeguata.
Forse mi
manca così tanto perché lo conosco, una volta quel coraggio c’era. Non
vanificava solo il tentativo dei contrattempi deboli, ma era la mia forza di
fronte a qualsiasi tipo di avversità. Il computer che non era neanche il mio. L’orologio
che mi ricordava che tra meno di tre ore avrei dovuto essere in piedi di nuovo,
e affrontare altre facce, altre discussioni. La password che non ne voleva
sapere di funzionare.
Mi manca il
coraggio di sapere se è questa o no la mia dimensione: quella che mi porta di
fronte a una pagina bianca, armata solo di qualche idea e di un briciolo di
coraggio. E’ questo che voglio fare, confrontarmi ogni giorno con i miei
sospetti e le mie paure? E’ la paura di uscirne sconfitta che mi impedisce di
provare a provare?
L’unica cosa
che si frappone tra me e quello che voglio fare sono io. Sono la motivazione e
il deterrente insieme, e da tanto tempo il deterrente è troppo convincente. E’ perché
non lo penso che non lo scrivo, o devo scriverlo per poterlo pensare?
Una persona
più saggia di me una volta mi ha detto, in un modo che ai tempi avevo trovato
brusco ma che forse, col senno di poi, lo era troppo poco, che dovevo scegliere
un obiettivo, perché una persona, senza mira, si perde.
Ai tempi mi
aveva fatto paura. Mi aveva ricordato una frase che ha detto una volta un’altra
persona più saggia di me: “I’m intimidated by the fear of being average”. Però
io, ai tempi, avevo soltanto un po’ di ansia lontana di essere nella media.
Ironia della sorte, qualsiasi cosa io abbia fatto da quel momento in poi non ha
fatto altro che confermare quella paura astratta finchè non è diventata un
orrore quotidiano e paralizzante.
Adesso so che
l’unica cosa che mi renderebbe diversa dalla media sarebbe fare qualcosa,
eppure non sto facendo niente.
Sto dando
consapevolmente a me stessa la possibilità di fare quello che non permetterei a
nessun altro di farmi: fermarmi. Impedirmi di essere quello che vorrei, di fare
quello che vorrei e di essere felice.
Sono
intrappolata nel bosco in cui mi sono persa. Sono il coniglio che ha seguito il
Bianconiglio nel bosco e poi non ha avuto il coraggio di entrare nel Paese
delle Meraviglie. E sono anche il lupo che segue il coniglio in silenzio, e non
lo perde mai d’occhio aspettando il momento giusto per attaccare e mangiarselo.
La parte
peggiore è che il bosco è magico: è un posto bello, verde e pieno di sole in
cui vivono tanti conigli e si sta, tutto sommato, abbastanza bene, ma un attimo
dopo è improvvisamente diventato una foresta buia e insidiosa, gli occhi del
lupo brillano nell’oscurità e quanto vorrei aver seguito il Bianconiglio, perché
ovunque sarebbe meglio di questo maledetto bosco.
E poi eccola:
la tana, la via di fuga, la salvezza. La porta che mi porterebbe alla luce.
Però dovrei entrare nel Paese delle Meraviglie, e io non lo so cosa succede nel
Paese delle Meraviglie. Potrei perdermi di nuovo, avere più paura di quanta ne
ho adesso. Potrei non farcela ad arrivare dall’altra parte. Potrei inciampare
al primo ostacolo e rimpiangere di non essere rimasta nel bosco, perché quando
non era buio, in fondo, il bosco non era poi tanto male.
Gli occhi del
lupo mi osservano mentre scelgo ogni volta di rimanere nel bosco, e si
avvicinano ogni giorno. A volte, se lo guardo bene, mi sembra che il lupo mi stia
implorando di saltare nella tana del Bianconiglio. Il suo sguardo inquisitorio
fa il tifo per me, perché il lupo preferirebbe che io mi perda nel Paese delle
Meraviglie, con la speranza di vedere un giorno la luce, altrimenti il lupo
dovrebbe mangiarmi.
Il lupo non
vuole mangiarmi ma io preferisco comunque aspettare che sia costretto a farlo,
invece di saltare e avere una possibilità di salvarmi.
Se non lo
faccio a cosa sono servite le ore passate di fronte a uno schermo nel cuore
della notte? Perché tutte quelle occasioni buttate per fare solo questo? Perché
le esperienze, perché le emozioni, perché la voglia di raccontarle? Che senso
ha avuto tutto, se non lo scrivo?
Che senso ho
io, se non scrivo?
Questo è
quello che voglio ricordare, quando il computer è lontano, l’orologio mi
ricorda l’orario improponibile e la password non vuole funzionare. Il brivido
della passione che diventa qualcosa di innegabile, che mi guarda nero su
bianco. La consapevolezza che la paura non è altro che un cagnolone dagli occhi
buoni che mi guarda spronandomi a salvarmi. La curiosità per il Paese delle
Meraviglie, che forse è pericoloso ma forse, perché no, è un luna park. La
certezza che un solo secondo vissuto dall’altra parte è meglio di un anno da
coniglio, perché il bosco non è poi così male, ma “non è poi così male” non è
quello che voglio. Io ero venuta per il luna park.
Nessun commento:
Posta un commento