sabato 27 dicembre 2014

Appuntamenti: preparazioni psicologiche e consigli


"Domenica sera ho un appuntamento" sembra essere la cosa più divertente che io abbia mai detto in vita mia. La gente scoppia a ridere dando per scontato che sia una battuta, il che la dice lunga sul mio livello di preparazione per la serata.
Quando capiscono che parlo seriamente il loro "ahahahaha" diventa improvvisamente un "oh", e partono le domande.
"Chi è?"
"Dove andate?"
"Che ti metti?"

In tutta onestà devo ammettere che io stessa ho attraversato un paio di fasi prima di realizzare e arrivare all'accettazione.
Fase numero uno: incredulità.
"Se vabbè"
Fase numero due: rifiuto.
"No no no no no non ci esco"
Fase numero tre: interesse.
"Ma magari mi diverto..."
Fase numero quattro: negazione.
"NO NO NO NO NO NON CI ESCO"
Fase numero cinque: rassegnazione.
"E vabbè"




Alla quinta fase ho capito di avere le stesse chance di sopravvivenza di un gatto abbandonato in mezzo all'oceano e ho preso coscienza della realtà: c'era un sincero bisogno di aiuto. Ho iniziato a chiedere consigli.
Non è andata esattamente come speravo.
Chiunque abbia detto "non fare le domande se non sei pronta a sentire le risposte" aveva degli amici molto simili ai miei.


Per la serie "storie di vita vera", la top ten dei migliori consigli ricevuti:

1. "Non parlare di Titanic"
2. "Sii te stessa, ma evita di sembrare psicopatica"
3. "Se vedi che stai per piangere scusati e scappa"
4. "Non parlare di Harry Potter"
5. "Ogni tanto parla, però"
6. "Se vedi che stai per piangere dalle risate, scusati e scappa"
7. "Non parlare di Steve Jobs"
8. "Gli U2 e Taylor Swift potrebbero essere argomenti di conversazione, ma solo se eviti di piangere e di sembrare psicopatica. E non fargli vedere le foto."
9. "Non mangiare neanche se ti mettono davanti un piatto di costolette e hai una fame da lupi. Lo sai che sembri un tirannosauro spastico quando mangi."
10. "Se ti mettono davanti del vino inglese cerca di non esclamare "ma che è sta merda""





In conclusione: ho tre argomenti di conversazione, devo essere me stessa senza poter fare buona parte delle cose che mi rendono me stessa, non so mangiare e/o fare conversazione senza piangere e inizio a chiedermi perchè la gente continua a dirmi di cercare di non sembrare psicopatica.
A me dispiace tanto per questo ragazzo. 
Perchè non sono ha avuto la sfiga di beccare me, tra tutte le ragazze che ci sono a Londra, ma perchè gli toccherà la versione più "me stessa" di me che esiste; se c'è una cosa che voglio evitare di fare domani è dire bugie e presentare una versione di me stessa che non è vera.
Questo poveraccio praticamente domani sera esce con una nerd psicopatica, piagnona che mangia senza masticare e odia il vino inglese con una passione bruciante.

venerdì 26 dicembre 2014

Christmas in between



A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai dubitare di tutto quello che hai fatto e conquistato e considerare seriamente di mandare tutto a quel paese per tornartene a casa.
Se c'è un giorno in cui si può, è Natale. A Natale nessuno dovrebbe essere lontano dal posto dove appartiene, a nessuno dovrebbe mancare un pasto caldo e una famiglia intorno, tutti dovrebbero ridere fino alle lacrime almeno una volta.
A Natale dovremmo tutti essere a casa, ovunque "casa" sia.
Per me è un salotto con un camino acceso, i miei genitori che litigano ma poi ti fanno l'occhiolino, i fratelli che ridono, gli amici al mio fianco e una bottiglia di prosecco da stappare. 
Non c'è alzataccia, corsa, stress, viaggio, attesa o duro lavoro che non ne valga la pena.
Sono incredibilmente felice di aver avuto il privilegio di essere a casa per Natale.





Sull'aereo, in sospeso tra Roma e Londra, mi sentivo un po' in sospeso tra realtà e futuro. A mezz'aria tra la terraferma, quella su cui punto i piedi e da cui prendo la rincorsa, e il cielo, quello pieno di stelle ma che da quaggiù non sembra neanche tangibile.
La cosa bella del futuro è che è tutto da scrivere: io ho una penna in mano, e la mano ferma.

Torno a Londra anche perchè so di dover fare qualcosa che posso raccontare la prossima volta che torno.
Il mio cuore, per inciso, è ancora seduto accanto al camino con una bellissima bimba in braccio.



domenica 7 dicembre 2014

Pelle


Quanto tempo quotidianamente passiamo a farci delle domande. E no, questa non è una domanda, è un'affermazione (per una volta).

Se facessi agli altri la metà delle domande che quotidianamente faccio a me stessa potrei dire di conoscere la gente molto meglio, e invece mi concentro su di me e mi faccio un miliardo e mezzo di domande che non fanno altro che farmi sentire sotto pressione.

"Quanto è stato grosso lo sgarro alla dieta che ho fatto domenica?"
"Ma è veramente questo che voglio fare nella vita?"
"Se compro tre scatole di lamponi che scadono domani, ce la faccio a mangiarle tutte stanotte?"

Poi mi sveglio la mattina che mi rode il culo e c'ho pure il coraggio di chiedermi come mai.
Perchè invece di darmi la proverbiale pacca sulla spalla quando faccio qualcosa di buono, io lascio correre. Tristemente sono diventata una di quelle persone che ricorda tutte le cazzate che ha fatto, ma si dimentica delle cose belle. Mi sono trasformata in mia madre. Con me stessa però, mica con gli altri.
Le cazzate che fanno gli altri me le scordo sistematicamente, anzi: li giustifico sempre quando le rifanno - anche a costo di negare l'evidenza. E' un superpotere particolare, il mio. Si chiama "quantoseicoglionaMariachià".
Quando si tratta di me, però, fermi tutti. Apriti cielo. Non c'è scusa che tenga, le giustificazioni sono parole al vento, è come urlare contro il muro: non riesco a fare l'avvocato del diavolo quando si tratta di difendere me stessa, perchè conosco troppo bene le accuse. Quindi è una causa persa, ogni santa volta.
Quando si tratta di me, non c'è giudice più severo di me stessa.
E chi meglio di me sa farmi sentire in colpa?

L'intransigenza non paga.
Misurarsi con l'ideale della perfezione non paga.
Controllare tutto fino a raggiungere livelli ossessivi non paga.

Volersi bene paga, ma bisogna imparare a farlo. E' facile voler bene ad un corpo perfetto, accettare la cellulite è un'altra storia. E' facile vivere in pace con se stessi se si ha mente tranquilla, con le contraddizioni però bisogna sempre farci i conti. 
La perfezione è facile da amare, è con i difetti che bisogna fare pace

Prima ancora, bisogna ammettere di averceli.



La mia pelle ed io ci siamo sempre state antipatiche: ho quel tipo di pelle che non mi permette di nascondere niente.
Sono in imbarazzo? Arrossisco. Sono nervosa? Arrossisco. Sono emozionata? Arrossisco. Sono stressata? Bam!, orticaria.
Qualsiasi cosa stia accadendo sotto la mia pelle, io lo indosso anche sopra. La pelle che abito è in tutto e per tutto parte di me, e forse questo è il motivo principale per cui io e lei ci siamo sempre state antipatiche.
A pensarci, però, è follia pensare di poter vivere bene se non si riesce a sentirsi a casa nella propria pelle.



Potrò vivere fuori, trasferirmi in dieci nazioni diverse, essere cittadina del mondo.
La prima casa sarà sempre questa pelle, 
ed è qui dentro che voglio imparare a sentirmi a casa.