mercoledì 30 luglio 2014

Mille personalità, una persona sola

Ad un fatto, le tante Mery che sono in me rispondono in modi diversi.
Per esempio,prendiamo un fatto a caso. Quando mi dicono “tra un mese tuo fratello si sposa”.



Mery bimbaminkia: Oh cazzo, mio fratello si sposa. Paolo si sposa. Cioè, io sono minimo dieci anni che aspetto questo momento e adesso manca solo un mese, oddio oddio oddio oddio. E io ancora non c’ho manco il vestito! E se poi vengo male nelle foto?

Mery nostalgica: Tra trenta giorni diventerò l’unica Pacifici maggiorenne non sposata in famiglia. A me sembra ieri che guardavo mio fratello diciottenne e speravo che non si sarebbe sposato mai, perché non lo volevo condividere con nessuno. Per fortuna ha trovato qualcuno che ha fatto sciogliere questa speranza come neve al sole… però, quant’è strana la vita. Ieri Paolo aveva diciott’anni e domani si sposa. Ieri io avevo nove anni e domani ventitrè.

Mery party animal: Sì, sì SIIIIII! Prosecco, musica, amici, cibo, tutti insieme, tutto bello. Speriamo che il vino sia buono, e soprattutto che io riesca ad arrivare cosciente a fine serata. Speriamo che io non sia mai abbastanza ubriaca da pensare che il karaoke sia una buona idea. E se succede, speriamo che i cellulari degli invitati siano tutti scarichi così nessuno può documentare l’orrore.

Mery expat: Tra un mese sto a casa, a casa mia, a Roma, con tutta la mia famiglia, tutti i miei amici, a festeggiare uno dei giorni più felici nella vita dei miei cari, e ci sarà il Parmigiano, il prosecco, il prosciutto, l’acqua di Nepi e il sole… ah, non vedo l’ora, che bello tornare a casa.

Mery ansiolitica: Ok vestito trovato, manca solo un mese, e l'orlo quando glielo faccio? Che scarpe mi metto? Con tutto sto stress figuriamoci se non mi viene l’orticaria proprio il giorno del matrimonio. E se poi fa troppo caldo e sudo e mi si scioglie il trucco? Io sono mezza british adesso, mica sono più abituata all’agosto romano. Mi dovrò far prestare il ventaglio da mia madre, per forza.

Mery perfezionista: Quindi io arrivo il ventisette all’ora di pranzo, poi c’è l’aperitivo, poi l'addio al nubilato, poi il mio compleanno, poi il matrimonio. Francesca farà i suoi canonici venti minuti di ritardo quindi avrò un po’ di tempo per aspettare all’aereoporto, speriamo non faccia troppo caldo sennò me squaglio. Poi quando andiamo a casa devo ricordarmi di portare il piumino in tintoria che quando riparto me lo devo riportare a Londra. E devo anche stampare il discorso per il matrimonio, e fare un po’ pratica. Speriamo che qualcuno si ricordi di portare i fazzoletti, perché come minimo io me li scordo e poi in chiesa mi piango pure un pezzo d’anima.

Mery sognatrice: Mio fratello tra un mese si sposa con la donna dei suoi sogni (e un po’ pure dei miei), è la cosa più romantica del mondo. Sarà una bellissima celebrazione del loro amore e di due bellissime famiglie che si uniscono e poi un domani faranno dei figli magari e saremo una famiglia gigante e super felice e… dove stanno sti fazzoletti?

Mery pesaculo: Io praticamente tornerò a Londra con sei kg in più, qualche litro di prosecco in corpo, un’ustione di terzo grado per tutto il sole che prenderò e più o meno mezz’ora di sonno. Mi servirà una vacanza per riprendermi dalla vacanza.


Mery scaricatore di porto: Ma quanto cazzo ce mette un mese a passà? Essù, nnamo mpò.



giovedì 24 luglio 2014

Quello che Londra non è


Oggi a Londra fanno trenta gradi.
Sì, ho scritto bene, trenta (tre-zero) gradi, un sole che spacca le pietre e manco un filo di vento. Fa talmente caldo che un mio coinquilino ha appena chiesto se c'è l'aria condizionata nella Tube; domanda che, in un anno, non si era mai posto.
Ogni tanto mi arrivano voci dalla madre patria, dicono che il tempo lasci un po' a desiderare. Piove e fa freddo, sembra che sia Novembre e non Luglio. Io ogni volta devo sinceramente mordermi la lingua per evitare di rispondere "ve sta bene."
Questa punta di acidità forse è data dal fatto che, a parte i trenta gradi londinesi a confronto con la pioggia romana (ma tranquilli, scommetto tanti soldi che tra tre giorni i ruoli si invertono e tutto torna nella norma), non c'è molto altro che si possa invidiare a Londra o a chi, come me, ci abita.

No, non inizierò a scrivere di quanto si sta male qui, di quanto è cara la vita o di quanti italiani ci sono (un indizio: tanti). Per questa volta il sole mi costringe anche a risparmiarmi il mio solito "chetempodemmerda". 
Non mi piacciono le critiche distruttive, non voglio generalizzare e non sono Beppe Severgnini.

Però c'è da dire che ogni tanto bisogna fare i conti con la realtà dei fatti (questa sconosciuta), e capita che si esca dallo scontro un po' ammaccati, disillusi e, perchè no, con un leggero giramento di scatole.
Perchè dopo qualche passeggiata, qualche esperienza e soprattutto qualche mese, oltre a vedere quello che c'è inizia a diventare dolorosamente palese quello che non c'è. Più che cercare di apprezzare Londra per quello che è e che può offrire, bisogna venire a patti con quello che Londra non è.
Ad esempio: Londra non è casa.
Già sento un coro di "Maddai? Ma non mi dire?". Ebbene sì, questo è uno dei fatti con cui ho dovuto confrontarmi. A forza di belle esperienze e di mettere sempre alla prova la mia capacità di adattamento avevo iniziato a pensare che volendo avrei potuto trasformare qualsiasi posto al mondo in casa mia.
Invece no, non è vero, non posso. Forse potrei farcela, da qualche parte, ma non qui. Questa non è casa mia. E' un'esperienza, è funzionale a qualcos'altro, è uno strumento, è un tramite, è una transizione. Ma non è casa.
Londra non è il paese dei balocchi. Non è la terra promessa dove tutte quelle bellissime frasi fatte da expat diventano realtà, come "se vuoi lavorare, lavori" e "l'inglese lo impari subito". E' una città con dodici milioni di abitanti, un tasso di immigrati altissimo e una competizione incredibile. Che l'Inghilterra e gli inglesi fossero freddi  (da tutti i punti di vista, trenta gradi o senza) lo sapevo, ma speravo in qualche modo di arrivare e portarmi il sole, e il calore, dietro. 
No, ho toppato anche questa volta.
Londra non è una città per sognatori. E' tantissime altre cose, alcune belle e alcune no. E' vibrante, viva e veloce. Ma non è il posto adatto per chi vive di pane e fantasia, il grigio della vita qui riesce quasi a spegnere qualsiasi altro colore. Non per niente si dice "sogno americano", mica "sogno britannico".


Tutte queste cose che Londra non è diventano quasi insignificanti alla luce di un sole splendente come quello di oggi, e se fosse sempre così uno potrebbe anche provare a dimenticarsele. Però, ripeto: scommetto tanti soldi che tra tre giorni l'ordine naturale delle cose verrà ristabilito e torneremo ad essere fradici, mentre a Roma ci sarà un bel sole estivo. E lì, sotto la pioggia, tutte le mancanze di questa città sembreranno un po' più importanti, un po' meno sormontabili.


L'essere umano è l'unica creatura vivente che non ha bisogno di un'esperienza diretta per imparare le cose, l'unica creatura vivente che può immaginare anche senza sapere.
La prima, vera, qualità dei sognatori è saper immaginare meglio. Alcuni lo chiamano "avere un obiettivo in mente", altri "castelli in aria" e altri ancora "aspettative di vita poco realistiche".

Io oggi lo chiamo futuro.




domenica 20 luglio 2014

Avvenimenti e scelte


Almeno una volta l'anno mi concedo di passare un paio d'ore a piangere guardando e riguardando il discorso di Steve Jobs a Stanford. Tutto di quel discorso mi fa piangere, soprattutto ora che ho letto la biografia di Jobs e capisco meglio di cosa parli e come dev'essere stata la sua vita. Difficile, piena di soddisfazioni, breve.

Ci sono tre o quattro frasi in particolare che mi piace ripetermi quando non mi sento un granchè. Ad un certo punto Steve Jobs parla del lavoro che sceglieremo di fare, e dice "il vostro lavoro occuperà una grande parte della vostra vita, e l'unico modo di essere davvero soddisfatti è fare un buon lavoro. E l'unico modo di fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se non lo avete ancora trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi."

Io forse nella vita sono stata fortunata: a sei anni mi è stato improvvisamente chiaro che nella vita io volevo raccontare storie, e che nient'altro al mondo mi avrebbe resa felice ora che avevo questa consapevolezza. 
Però non è stata un'epifania, non è arrivata la manna dal cielo, non mi è caduto tutto addosso. Io l'ho scelto.
Ho finito di leggere "Harry Potter e la Pietra Filosofale" e mi era piaciuto talmente tanto trovarmi ad Hogwarts invece che a Morlupo, anche se solo per qualche ora, che ho deciso che avrei fatto quello nella vita, avrei scritto.

Non mi è capitato. L'ho scelto.

Mi guardo intorno e vedo una quantità sempre più elevata di gente che sembra non scegliere niente. Né lo stile di vita che fanno, né la carriera che inseguono, neanche gli amici. Sembra che tutto gli capiti. Loro non scelgono, loro subiscono. Non c'è niente di più terribile che subire la vita, senza mai prendere una decisione. Come se non bastasse, la gente che subisce sembra avere l'impressione di potersi lamentare di qualsiasi cosa gli capiti, perchè tanto mica l'hanno scelta loro.
Dare le colpe agli altri per cose che hanno direttamente a che fare con noi ha una data di scadenza, diventa inaccettabile dopo i 16 anni. Subite e non lamentatevi o agite e cambiate le cose.

E poi, sono abbastanza sicura che chi fa il dottore (o il regista, l'insegnante, il lottatore di Sumo professionista) non si è semplicemente svegliato una mattina e ha pensato: "però, sarebbe figo fare il dottore."
No, non va così. Bisogna sceglierlo.
Bisogna confermare la scelta ogni giorno. Bisogna continuare a sceglierlo anche quando il mondo ce la mette tutta per farti cambiare idea. Altrimenti che sapore avrebbe la vittoria? Altrimenti come si distinguerebbero quelli a cui le cose capitano e quelli invece che le cose le fanno capitare? Altrimenti come sapresti se una persona, quella cosa, la vuole veramente?

Ogni tanto faccio qualcosa di cui vado fiera, tipo smettere di fumare. Quando riesco nel mio obiettivo, mi sento un po' Dio: "Guardate quanto sono brava, ho smesso di fumare! Ditemi tutti che sono brava, perchè nonostante il nervosismo non ho ammazzato neanche una persona! Ditemi quanto sono brava!"
Va avanti così per un paio di giorni, e poi mi accomodo. Mi crogiolo nel fatto che ho fatto una cosa buona, e mi dimentico temporaneamente di tutte le altre quindicimila cose che dovrei fare prima di potermi dichiarare fiera di me stessa. 
Finchè non decido che può bastare, e improvvisamente mi rendo conto che
a) sono fiera di me per aver fatto una cosa che ha fatto un sacco di altra gente, e che nonostante sia una bella cosa, è alquanto fattibile e
b) ho perso un sacco di tempo sentendomi fiera e figa quando dovrei stare sgobbando come un maiale per arrivare agli obiettivi seri.

E' bello prendersi un paio di giorni di pausa da questo costante sentirsi rifiutata, sola e un po' fallimentare. E' anche vero che se non mi sentissi rifiutata, sola e un po' fallimentare difficilmente starei ancora stringendo i denti e andando avanti. 
Sto imparando a prendere le mie più grandi debolezze e ad usarle a mio vantaggio. 
Per il resto, stringo i denti e vado avanti. 
Continuo a camminare. Lo so dove voglio arrivare... lo scelgo tutti i giorni.





giovedì 17 luglio 2014

Il sogno americano


Il concetto di "sogno americano" mi ha sempre affascinata, al punto di influenzare alcune delle scelte più determinanti della mia vita.
Ho sempre pensato che fosse meraviglioso pensare che c'è un posto nel mondo in cui si può essere chiunque, fare qualsiasi cosa ed avere successo, ricominciare da zero senza il fardello di convenzioni sociali o realtà che non ci calzano più a pennello. La questione del "sogno americano" è stata uno dei primi segni inequivocabili del mio amore verso gli Stati Uniti, e a un certo punto della mia vita ho fatto la valigia, preso l'aereo e sono andata a scoprire di cosa si trattasse veramente.

Dopo un mese negli States, scrivevo questo:


"Il sogno americano non esiste, belli, siete voi che lo costruite! Quando finalmente mi sono scontrata con questa brutale verita’ sono stata felicissima, perche’ sapete che vuol dire? Che non posso perdere, perche’ come si puo’ perdere un illusione? Mi sono stampata un sorriso in faccia e ho continuato a cercare di far uscire la Mery esaltata che tutti conoscete, e e’ andata a finire che ho scoperto che il sogno americano esiste. Si’, l’ho inventato io! Sto vivendo il mio sogno americano, e vi giuro che e’ da paura."

Le parole di una diciassettenne felice, con un mondo pieno di possibilità davanti e la consapevolezza di avere qualche capacità per tirarne fuori qualcosa di bello.
Il mio sogno americano, come tutti i tipi di sogni, ad un certo punto è finito e ha lasciato il posto alla realtà: ho dovuto tornare a casa. Prima di tornare, però, ho avuto il tempo di riflettere di nuovo, quando ormai il mio rientro era alle porte e il tempo rimastomi per vivere nel mio sogno americano era agli sgoccioli.

La notte prima di salire sull'aereo che mi avrebbe riportata in Italia, scrivevo questo:


"Non mi stupisce che si chiami "il sogno americano". Ma non e’ l’America a far diventare quei sogni realta’, a quello ci pensiamo noi, la nostra forza di volonta’, la nostra determinazione, l’attitudine e, come dicono i Beatles, a little help from our friends."

Ho sempre considerato queste parole una delle lezioni di vita più importanti che io abbia imparato durante il mio anno all'estero. 
Non c'è nessun "sogno americano", ci sono solo opportunità e persone in grado di coglierle. Persone pronte, preparate, volenterose, determinate, forti e coraggiose, che ci credono sempre, fino alla fine, e continuano a crederci anche quando il gioco si fa duro, senza perdere mai la speranza.

Ho scelto alcune di queste persone come miei modelli di riferimento per la persona che mi piacerebbe diventare, le ho selezionate con il tempo e alla fine è diventato un club eterogeneo e sorprendentemente diversificato. Tra tanti, spiccano alcuni nomi: Tina Fey, Steve Jobs, mio fratello, Mindy Kaling, J. K. Rowling, Taylor Swift, Aaron Sorkin, John Green, Bono e Jovanotti.
Ho usato loro e tantissime altre persone che stimo come ispirazione, li ho appesi sulle pareti del mio cervello e della mia camera per non perdere mai di vista l'obiettivo finale, che ho scoperto essere non solo lavorativo e sociale, ma anche e soprattutto personale.

Ad un certo punto della mia vita devo aver confuso USA con UK perchè mi sono ritrovata qui, a Londra, con in testa le stesse stelline e in faccia lo stesso sorriso fomentato che avevo quando sono arrivata in Oregon. 
Il problema è che non è la stessa cosa: questa non è un'esercitazione. E' vita vera.
Nella vita vera c'è poco posto per le foto sulle pareti e c'è poco margine d'errore: nella vita vera la sfida è costruirmi giorno dopo giorno, opinione dopo opinione, sbaglio dopo sbaglio e scelta dopo scelta, fino ad arrivare a meritarmi un pezzettino di muro anche io.

(p.s. mi sono riservata l'angolino tra Tina Fey e Mindy Kaling, così, per farmi due risate)





sabato 5 luglio 2014

Risposte


Il primo pensiero che ci sveglia al mattino può, se gliene diamo il potere, influenzare l'intera giornata.
Per questo motivo, se uno si sveglia pensando "che giornata di merda che mi aspetta oggi", probabilmente ha ragione. Viceversa non funziona sempre, cioè se uno si sveglia e pensa "oggi sarà una bellissima giornata" potrebbe esserlo come potrebbe non esserlo. Non per essere pessimisti, ma è così: ogni tanto le giornate di merda arrivano anche quando uno si aspetta cose fantastiche.

Da qualche tempo il pensiero che mi sveglia è qualcosa che suona come "che scopo ho nella vita, oggi?"
Bam, botta secca, così, di prima mattina. Manco mi alzo dal letto e già sento il macigno dietro le spalle.
Questa, signore e signori, è la vita di chi cerca lavoro.

E' che la vita costa ogni giorno, io costo ogni giorno, e quando i soldi escono e non entra nulla dopo un po' diventa un problema (oltre che incredibilmente frustrante). 
Ma non è solo quello, anzi. E' che va bene cercare lavoro, e va bene scrivere (perchè tanto è quello che voglio fare nella vita, e perchè tanto lo farei comunque), però una persona ha bisogno di fare qualcosa nella vita per sentirsi utile a questo mondo. Fare, creare, produrre, uscire di casa, dare un senso alla giornata.
Altrimenti è inevitabile che quella suddetta persona inizi a porsi delle domande, come "ma io, esattamente, che cosa ci sto a fare qui?"
"Qui" ha un significato variabile: può essere "qui, a Londra" come "qui, su questo pianeta".

Quando arrivano le domande, io come regola cerco di darmi delle risposte prima che le domande diventino ingestibili.
Eccone alcune:

1. Sono qui perchè era arrivato il momento per me di uscire di casa, di entrare nel mondo del lavoro e di fare un'esperienza di vita formativa. 
(questa risposta è troppo generica e sinceramente non mi soddisfa neanche un po', ma neanche poco poco.)

2. Sono qui perchè voglio lavorare in inglese nella vita, e siccome in America per ora è difficile tornarci, questo era un ottimo compromesso. 
(questa mi piace un po' di più, ma non è una risposta, è solo la verità.)

3. Sono qui perchè ho un sogno e ho ancora l'ingenuità necessaria per crederci, quindi è giusto che io ci creda fino in fondo e faccia qualsiasi cosa è in mio potere fare per realizzarlo. 
(oh ecco, questa inizia ad essere una bella risposta.)

4. Mery, stai qui. Ci stai, è un dato di fatto. Invece di cercare la risposta perfetta da darti, perchè non provi a spremere tutto quello che puoi da questo posto e da questa vita? Da questa esperienza tirerai fuori qualcosa di incredibilmente positivo, perfino tutto questo preoccuparti, questo sentirti inutile e frustrata avrà un senso ad un certo punto. Goditelo. 
(è così che funziona il mio cervello: quando si concentra per troppo tempo su cose relativamente poco produttive, BAM! si spegne e si riavvia)


A tutti coloro che mi hanno fatto la famigerata domanda, e a tutti quelli che l'hanno pensata ma non hanno avuto l'occasione o il coraggio di riproporla a me: scegliete la risposta che più vi piace. 

Spoiler alert: quella giusta è la numero 4!


Ci crediamo? Crediamoci.