sabato 27 dicembre 2014

Appuntamenti: preparazioni psicologiche e consigli


"Domenica sera ho un appuntamento" sembra essere la cosa più divertente che io abbia mai detto in vita mia. La gente scoppia a ridere dando per scontato che sia una battuta, il che la dice lunga sul mio livello di preparazione per la serata.
Quando capiscono che parlo seriamente il loro "ahahahaha" diventa improvvisamente un "oh", e partono le domande.
"Chi è?"
"Dove andate?"
"Che ti metti?"

In tutta onestà devo ammettere che io stessa ho attraversato un paio di fasi prima di realizzare e arrivare all'accettazione.
Fase numero uno: incredulità.
"Se vabbè"
Fase numero due: rifiuto.
"No no no no no non ci esco"
Fase numero tre: interesse.
"Ma magari mi diverto..."
Fase numero quattro: negazione.
"NO NO NO NO NO NON CI ESCO"
Fase numero cinque: rassegnazione.
"E vabbè"




Alla quinta fase ho capito di avere le stesse chance di sopravvivenza di un gatto abbandonato in mezzo all'oceano e ho preso coscienza della realtà: c'era un sincero bisogno di aiuto. Ho iniziato a chiedere consigli.
Non è andata esattamente come speravo.
Chiunque abbia detto "non fare le domande se non sei pronta a sentire le risposte" aveva degli amici molto simili ai miei.


Per la serie "storie di vita vera", la top ten dei migliori consigli ricevuti:

1. "Non parlare di Titanic"
2. "Sii te stessa, ma evita di sembrare psicopatica"
3. "Se vedi che stai per piangere scusati e scappa"
4. "Non parlare di Harry Potter"
5. "Ogni tanto parla, però"
6. "Se vedi che stai per piangere dalle risate, scusati e scappa"
7. "Non parlare di Steve Jobs"
8. "Gli U2 e Taylor Swift potrebbero essere argomenti di conversazione, ma solo se eviti di piangere e di sembrare psicopatica. E non fargli vedere le foto."
9. "Non mangiare neanche se ti mettono davanti un piatto di costolette e hai una fame da lupi. Lo sai che sembri un tirannosauro spastico quando mangi."
10. "Se ti mettono davanti del vino inglese cerca di non esclamare "ma che è sta merda""





In conclusione: ho tre argomenti di conversazione, devo essere me stessa senza poter fare buona parte delle cose che mi rendono me stessa, non so mangiare e/o fare conversazione senza piangere e inizio a chiedermi perchè la gente continua a dirmi di cercare di non sembrare psicopatica.
A me dispiace tanto per questo ragazzo. 
Perchè non sono ha avuto la sfiga di beccare me, tra tutte le ragazze che ci sono a Londra, ma perchè gli toccherà la versione più "me stessa" di me che esiste; se c'è una cosa che voglio evitare di fare domani è dire bugie e presentare una versione di me stessa che non è vera.
Questo poveraccio praticamente domani sera esce con una nerd psicopatica, piagnona che mangia senza masticare e odia il vino inglese con una passione bruciante.

venerdì 26 dicembre 2014

Christmas in between



A Natale puoi fare quello che non puoi fare mai dubitare di tutto quello che hai fatto e conquistato e considerare seriamente di mandare tutto a quel paese per tornartene a casa.
Se c'è un giorno in cui si può, è Natale. A Natale nessuno dovrebbe essere lontano dal posto dove appartiene, a nessuno dovrebbe mancare un pasto caldo e una famiglia intorno, tutti dovrebbero ridere fino alle lacrime almeno una volta.
A Natale dovremmo tutti essere a casa, ovunque "casa" sia.
Per me è un salotto con un camino acceso, i miei genitori che litigano ma poi ti fanno l'occhiolino, i fratelli che ridono, gli amici al mio fianco e una bottiglia di prosecco da stappare. 
Non c'è alzataccia, corsa, stress, viaggio, attesa o duro lavoro che non ne valga la pena.
Sono incredibilmente felice di aver avuto il privilegio di essere a casa per Natale.





Sull'aereo, in sospeso tra Roma e Londra, mi sentivo un po' in sospeso tra realtà e futuro. A mezz'aria tra la terraferma, quella su cui punto i piedi e da cui prendo la rincorsa, e il cielo, quello pieno di stelle ma che da quaggiù non sembra neanche tangibile.
La cosa bella del futuro è che è tutto da scrivere: io ho una penna in mano, e la mano ferma.

Torno a Londra anche perchè so di dover fare qualcosa che posso raccontare la prossima volta che torno.
Il mio cuore, per inciso, è ancora seduto accanto al camino con una bellissima bimba in braccio.



domenica 7 dicembre 2014

Pelle


Quanto tempo quotidianamente passiamo a farci delle domande. E no, questa non è una domanda, è un'affermazione (per una volta).

Se facessi agli altri la metà delle domande che quotidianamente faccio a me stessa potrei dire di conoscere la gente molto meglio, e invece mi concentro su di me e mi faccio un miliardo e mezzo di domande che non fanno altro che farmi sentire sotto pressione.

"Quanto è stato grosso lo sgarro alla dieta che ho fatto domenica?"
"Ma è veramente questo che voglio fare nella vita?"
"Se compro tre scatole di lamponi che scadono domani, ce la faccio a mangiarle tutte stanotte?"

Poi mi sveglio la mattina che mi rode il culo e c'ho pure il coraggio di chiedermi come mai.
Perchè invece di darmi la proverbiale pacca sulla spalla quando faccio qualcosa di buono, io lascio correre. Tristemente sono diventata una di quelle persone che ricorda tutte le cazzate che ha fatto, ma si dimentica delle cose belle. Mi sono trasformata in mia madre. Con me stessa però, mica con gli altri.
Le cazzate che fanno gli altri me le scordo sistematicamente, anzi: li giustifico sempre quando le rifanno - anche a costo di negare l'evidenza. E' un superpotere particolare, il mio. Si chiama "quantoseicoglionaMariachià".
Quando si tratta di me, però, fermi tutti. Apriti cielo. Non c'è scusa che tenga, le giustificazioni sono parole al vento, è come urlare contro il muro: non riesco a fare l'avvocato del diavolo quando si tratta di difendere me stessa, perchè conosco troppo bene le accuse. Quindi è una causa persa, ogni santa volta.
Quando si tratta di me, non c'è giudice più severo di me stessa.
E chi meglio di me sa farmi sentire in colpa?

L'intransigenza non paga.
Misurarsi con l'ideale della perfezione non paga.
Controllare tutto fino a raggiungere livelli ossessivi non paga.

Volersi bene paga, ma bisogna imparare a farlo. E' facile voler bene ad un corpo perfetto, accettare la cellulite è un'altra storia. E' facile vivere in pace con se stessi se si ha mente tranquilla, con le contraddizioni però bisogna sempre farci i conti. 
La perfezione è facile da amare, è con i difetti che bisogna fare pace

Prima ancora, bisogna ammettere di averceli.



La mia pelle ed io ci siamo sempre state antipatiche: ho quel tipo di pelle che non mi permette di nascondere niente.
Sono in imbarazzo? Arrossisco. Sono nervosa? Arrossisco. Sono emozionata? Arrossisco. Sono stressata? Bam!, orticaria.
Qualsiasi cosa stia accadendo sotto la mia pelle, io lo indosso anche sopra. La pelle che abito è in tutto e per tutto parte di me, e forse questo è il motivo principale per cui io e lei ci siamo sempre state antipatiche.
A pensarci, però, è follia pensare di poter vivere bene se non si riesce a sentirsi a casa nella propria pelle.



Potrò vivere fuori, trasferirmi in dieci nazioni diverse, essere cittadina del mondo.
La prima casa sarà sempre questa pelle, 
ed è qui dentro che voglio imparare a sentirmi a casa.



domenica 30 novembre 2014

Crescere


Perfino il grigio di Londra diventa vivo e colorato quando ci sono degli occhi nuovi con cui guardarlo.

Le persone arrivano e se ne vanno, rimettono tutto a posto e rimettono tutto in discussione.
Ci si ritrova sempre nello stesso posto, ma in un altra nazione. Con qualche anno in più, qualche grossa cicatrice e deliri di onnipotenza che riusciamo a nascondere più o meno bene. Ammaccati ma risoluti, figli di una cultura che ci insegna a cercare la felicità lontano da casa e poi a non crederci quando la troviamo.

Non ho mai voluto diventare cinica, ho sempre difeso a spada tratta il mio diritto di sperare.
Poi ci si è messa la vita, e l'ambizione, e la paura, e il diritto di sperare è diventato pericoloso. Credere in meglio e poi non allungare la mano per prenderlo è stupido... perchè non lo sappiamo, che il meglio è proprio lì.

Mi hanno sempre detto che se non sai cosa vuoi non lo troverai mai, io mi sono fidata. Devo aver sbagliato qualcosa perchè sono mesi che rincorro gli obiettivi sbagliati, però nel frattempo ho trovato un sacco di altre belle cose.
Però è colpa mia: "crescere" non era un obiettivo realistico.

Non ho mai voluto diventare adulta, ho sempre voluto diventare grande.
L'idea era di quella di preferire la quantità delle esperienze a quella della candeline sulla torta. Poi il numero delle candeline aumenta e inevitabilmente si cade nei pregiudizi e nelle consuetudini... si iniziano a dire frasi che assomigliano troppo a quelle dei nostri genitori, e ci si rassicura dicendosi che è normale, significa crescere.

Non significa crescere.

Crescere sarebbe arrivare alla fine di una discussione senza aver pianto. Sarebbe riuscire a non avere pregiudizi sul prossimo e non approfittarsi delle sue debolezze. Crescere per me sono tante cose che ho fatto e tante cose che non riesco a fare. Crescere è anche ammetterlo e riprovarci comunque domani, di bandiere ne ho sventolate tante ma quella bianca mai.

Diventare grandi è tutto un altro gioco.









lunedì 17 novembre 2014

Prima della tempesta


Una volta scrivevo per mettere sogni nero su bianco.
Poi ho iniziato a scrivere per tenere amici e parenti aggiornati sulle mie (dis)avventure.
Nel frattempo ho continuato a scrivere i suddetti sogni sotto pseudonimo.
Oggi scrivo perchè non so se quei sogni ci sono ancora, quindi li cerco sperando di riuscire a farli uscire a forza di domande. Se ci sono ho bisogno di vederli nero su bianco. Se non ci sono ho bisogno di sapere dove sono andati a morire.
Il fatto che poi grazie a tutte queste cose che metto nero su bianco io riesca anche a tenere aggiornati parenti e amici sulle mie (dis)avventure è soltanto una fortuita e piacevole coincidenza.


Qui in quel di Bounds Green, Londra, la vita procede tranquilla a suon di conti alla rovescia.
I miei migliori amici che vengono a trovarmi: meno nove giorni.
Le ferie: meno sei giorni.
Natale a casa: meno trentasei giorni.
Qualcosa di così intenso da farmi dimenticare tutti i suddetti conti alla rovescia: sto ancora aspettando.


Ho scritto tanto della solitudine, di quanto sia stato difficile accoglierla e poi accettarla e di come poi io l'abbia trasformata in un'armatura per impedirmi di buttare tutto all'aria e dover ricominciare da capo prima o poi. Per la cronaca, ho deciso che tutte quelle cose sono una marea di cazzate.
Ho sbagliato parola: non volevo dire "solitudine", volevo dire "calma".
E' stato difficile iniziare a vivere una vita calma, accoglierla e accettarla e poi trasformarla in una necessità assoluta per impedirmi di buttare tutto all'aria e di dover ricominciare da capo prima o poi.
Quindi da sei mesi vivo un'esistenza calma, piatta al limite del flemmatico, costruita su sveglie presto, corse mattutine, pranzi preparati il giorno prima e almeno otto ore di sonno a notte. Cose che mia madre in confronto è un animale da festa, cose che non racconti in giro per paura che ti chiedano il documento per controllare che tu non abbia 83 anni invece di 23.



Oggi ho scoperto che la calma mi ha rotto i coglioni.
Non che non mi piaccia pianificare o prepararmi con largo anticipo - quello succederà sempre. Sarò sempre quella che ad agosto chiede che facciamo a Capodanno e che arriva con un quarto d'ora d'anticipo a qualsiasi tipo di appuntamento. Non ci si può fare niente, ve lo giuro, ci ho provato, accettiamo tutti questa realtà e iniziamo a cercare di convivere con questa "angoscia" che vi infondo quando vi faccio notare che siete in ritardo. 
Però da stasera mi libero di quest'armatura di calma piatta che ho usato finora per proteggermi da qualsiasi tipo di cambiamento non strettamente necessario.
Gli ultimi sei mesi passati in pace saranno d'ora in poi da me ribattezzati "la quiete prima della tempesta", perché d'ora in poi cerco temporali, maremoti, fulmini e saette.






C'è una linea sottile tra essere soli e sentirsi soli.
Mi illudevo di esserlo e basta e invece ho dovuto ammettere che mi ci sento anche. Fa paura dirlo, fa paura scriverlo e soprattutto è terrificante ammetterlo a sé stessi, però dicono che piano piano aiuti a crescere e a diventare più forti. Io per sicurezza ogni tanto me lo ripeto, così pure se non fortifica almeno ho l'illusione che lo faccia.
E poi, chiunque abbia inventato il detto "meglio soli che male accompagnati" era una persona saggia.



Se non esistesse il senso dell'umorismo saremmo tutti perduti.
Se non potessimo ridere delle nostre stesse disgrazie nessuno si alzerebbe più dal letto.
Se non avessimo bei ricordi che ci fanno sorridere tra le lacrime non avremmo amici.
Se non vivessimo giornate intere con le lacrime agli occhi non cercheremmo mai di migliorare.



venerdì 7 novembre 2014

Uno spazio bianco

I could show you incredible things.

Ad esempio come infilarsi in relazioni palesemente senza futuro. O come trovare una dimensione che non ci stia stretta, pur vivendo in una dimensione che ci sta già stretta. Come smettere di fumare senza rimpiangerlo. Come iniziare a mangiare verdura a 23 anni. Come dormire da soli senza avere paura del buio. Come insegnare al proprio cuore a tacere quando sussurra "questo non è il tuo posto". Come innamorarsi di sè stessi. Come apprezzare la solitudine al punto di avere paura di incontrare qualcuno che possa cambiare tutto. 

Cause darling I'm a nightmare dressed like a daydream.

Che forse la paura non è data dal non voler rinunciare alla solitudine, ma dal voler evitare di trasformarsi (di nuovo) in un mostro che si nutre esclusivamente di caffè, ansia e seghe mentali. 
Non è amore se ci trasforma in animali. Non è amore se ci fa sentire piccoli e impotenti. Non è amore se piangi tutti i giorni. 
Sembra palese, ma è sempre troppo facile dimenticarsi tutto e mandare a quel paese il buon senso solo per qualche brivido.




I can make the bad guys good for a weekend.

Soprattutto quando voglio che lo siano. Un giorno capirò perchè sono sempre pronta a giustificare tutto e tutti ma quando si tratta di me stessa sono una dittatrice spietata. Tutti sbagliano, prima o poi. Solo perchè io ci ho messo tanto tempo a sbagliare non significa che l'abbia scampata. Sono umana, purtroppo non posso farci niente.

So it's gonna be forever
or it's gonna go down in flames.

Bianco o nero, tutto o niente, all in o lasciamo stare. Cos'è una via di mezzo se non una timida giustificazione per non essere riusciti ad arrivare fino alla fine? Che cosa c'è, in questo "mezzo" che piace così tanto alla gente? Un'area grigia che non è né carne, né pesce, né accettabile.




Are we out of the woods yet?
Are we in the clear yet?

Dicono che bisogna stringere i denti e andare avanti, abbassare la testa e continuare a spingere senza fermarsi mai, neanche se si intravede la fine. Se c'è una luce alla fine del tunnel bisogna continuare ad andare, perchè potrebbe facilmente essere un treno. Quindi uno stringe i denti e va, va, va...
Ma quando arriva?

10 months sober, I must admit
just because you're clean don't mean you don't miss it.

Solo perchè una cosa non c'è mai stata non significa che non se ne senta la mancanza. Solo perchè una persona cresce e rinuncia non significa che non dubiti mai. 
Io dubito sempre. Soprattutto delle mie stesse scelte. Soprattutto di quelle coraggiose.
Spesso torno indietro, poi ci ripenso. E poi spero sempre che arrivi un segno dal cielo a dirmi se sono sulla strada giusta o se, una volta ogni tanto, posso permettermela anche io una distrazione.

Everybody here wanted something more,
searching for a sound we hadn't heard before.

Ti aprono un portone davanti, ti stendono un tappeto rosso ai piedi e ti dicono "benvenuta, Mery, nella terra dei sogni". A me succede tutte le notti quando chiudo gli occhi.
Nella vita reale non succede. Nella vita reale ti devi sudare ogni metro che ti separa dalla terra promessa, e a volte magari non basta neanche quello. Qualcuno ogni tanto chiede anche perchè non chiedi qualche favore in giro, perchè non ti fai aiutare, perchè non trovi un escamotage.
Perchè è "la terra dei sogni", non la terra del "ma sì, fai come te pare tanto lo fanno tutti" (quella si chiama "Italia", tra parentesi).
Metro dopo metro, mi sto sudando tutto. 
Aspetto un cartellone al traguardo che dirà: "it's been waiting for you".

...And life was never worse and never better
in wonder(mery)land.


EVERYTHING.




mercoledì 22 ottobre 2014

Ci sta

Pochi giorni dopo essermi trasferita a Londra ho incontrato qualcuno che mi ha detto: “Qui le giornate non passano mai, ma i mesi volano.”

Prima che io potessi veramente fare pace con questa “cosa” che qui in Inghilterra chiamano estate, ecco che anche quel barlume lontano di sole se ne va e arriva l’autunno. Una volta era la mia stagione preferita, l’autunno. Le caldarroste, i Mont Blanc, il camino acceso, il piumino sul letto, stare a casa sul divano con mamma e papà e costringerli a vedere tutti i miei film preferiti… ah, che bello l’autunno. Quest’anno è diverso. 
Facciamo l’appello: caldarroste – non pervenute. Mont Blanc – due, ottimi, e vabbè che ci sta, sono stagionali. Il camino acceso – il camino qua c’è! E’ chiuso ovviamente, e dentro ci sono una serie di bottiglie di alcolici vuote che i coinquilini collezionano. Meglio de niente. Il piumino sul letto – ah, bella questa. Il piumino non l’ho mai tolto.  Mamma e papà + divano + film – non se pò avè tutto dalla vita.

Ci sta che quest’anno sia diverso. Sono grande ormai, vivo lontana da casa e mi dicono tutti che la nostalgia fa parte del gioco. Ci sta che sia tutto diverso, se fosse stato tutto come l’anno scorso probabilmente avrei desiderato altro… avrei desiderato questo. Ma com’è che non siamo mai contenti con quello che viviamo oggi? Com’è che passiamo la vita ad immaginare il futuro o a ricordare il passato? Che diavolo c’è che non va nel presente?

Ci stanno le giornate no, quelle che iniziano praticamente dalla sera prima, con due o tre incubi di seguito e una nottata intera a fissare il soffitto. Le giornate no sembrano sempre durare 45 ore, mentre quelle belle ne durano 4 al massimo. Ci sta pure che mentre giochi a Candy Crush sulla metro e ascolti musica in riproduzione casuale capita quella canzone che non vorresti sentire e ti scappa la lacrimuccia. In metro. Nell’ora di punta. Di fronte a un vagone pieno di persone che hanno tutte gli occhi e grazie al cielo che non rivedrò mai più (spero).

Ci sta la paura di Natale, il rifiuto verso il rosso e l’oro, il presepe e gli alberelli perché il solo pensiero mi fa rabbrividire fino nelle ossa. Ci sta vedere il cappello natalizio più bello della storia e non comprarlo perché tanto non saprei a chi farlo vedere. Poi ci sta anche spendere £250 per tornare a casa la sera di Natale. Il cappello natalizio non lo compro comunque, ma almeno adesso la scusa è che sono al verde (per una buona causa).


Le giornate non passano mai, ma i mesi volano. E quando non ci si può fare niente, stacce.

inglese misto romanaccio ad hoc.

venerdì 17 ottobre 2014

Nel frattempo

Ho passato dei giorni strani, tant'è che ho pensato veramente di soffrire di sbalzi d'umore.
Stare dieci giorni a casa rimette tante piccole cose al loro posto, ma ne incasina tante altre nel frattempo
Ormai la mia vita va così: un giorno mi addormento piangendo e il giorno dopo mi sveglio, c'è il sole, ed è già passato tutto. Il sole cambia tutto quanto.

La mia vita è una lunghissima serie di "prima" e "dopo": una successione di grandi e piccoli eventi che hanno marcato il tempo che il precede e li segue, mettendo tutto quanto in relazione. 
Tornare a casa, cioè tornare al "prima" quando il "dopo" non è ancora chiaro, mette tutti di fronte a un grandissimo interrogativo.
Ma chi me lo fa fare?

Me lo sono chiesto 1000 volte.
Per fortuna sono stata capace di darmi 1001 ottime risposte.

Poi sono tornata a Londra, e tempo un'ora ero in lacrime al telefono con mia madre che singhiozzavo "io voglio il mio letto, voglio tornare a casa".
1001 ottime risposte, eh? Uno crede di essere stato bravo, uno crede di essere stato forte... e poi non si può rilassare un attimo che bam!, crisi di nervi. 

La cosa davvero bella è stata raccontare a me stessa e capire davvero, per una volta, che il tempo passa. Il tempo se ne va inesorabile e non c'è assolutamente niente che possa fermarlo.
L'unica cosa che posso controllare è come percepirlo, questo tempo che passa. Se conto i giorni, le ore, i secondi che mi separano da qualcosa la mia vita sarà un susseguirsi di attese e ritardi. Mi sembrerà lunghissima guardando avanti, e brevissima guardando indietro. 
Se invece questa vita cerco di riempirla di piccole cose felici, sarà più densa, più concentrata. Guarderò indietro ricordando attimi intensi e non lunghi periodi aridi, e magari finalmente smetterò di guardare sempre avanti cercando di indovinare il futuro. La vita sarà piena di tante, piccole, bellissime cose. 
E tanto il tempo passerà comunque... Le cose per cui faccio il conto alla rovescia arriveranno comunque. Ma non posso continuare e immaginarmele mentre sto seduta qui ad aspettarle.


Non per questo smetterò di immaginarmele.
La differenza sta nel vederle come punti di arrivo, obiettivi inderogabili, invece che come improbabili sogni. E' compito nostro renderli tali, anzi, è una bellissima responsabilità. 
La differenza sta nella scelta: potrei stare seduta qui ad aspettare tutte le belle cose che arriveranno, oppure potrei alzarmi e andare a fare qualcos'altro, nel frattempo.









venerdì 26 settembre 2014

Il bambino capriccioso rannicchiato all'angolo



Le storie che le persone si raccontano per riuscire a dormire la notte sono tante, disparate, e sempre improbabili. 
Se ci penso che sono vent'anni che canto questa canzone e ancora mi stupisco di quanto sia vero che i certe brutte immagini vengono a bussare proprio "appena prima di dormire". Gli 883 lo dicevano già negli anni '90. Non aprire al ricordo che bussa è tutta un'altra storia... raccontarsi qualcosa per permettersi di dormire diventa quasi inevitabile.

"Non potevo fare altrimenti."
"E' andata meglio così."
"Sarei stato infelice comunque."
"Ogni cosa succede per un motivo."

Per un motivo o per l'altro, io queste frasi fatte me le sono già raccontate tutte. Non ci ho mai creduto, nemmeno quando me le raccontavo. C'è una parte di me che mi impedisce di ignorare l'ovvio: che se ancora sto qui a pensarci - dopo mesi - vuol dire che posso raccontarmi tutte le frasi fatte del mondo, ma non risolverò un bel niente finchè non arrivo in fondo al problema.
Non sapevo neanche di avercelo, un problema.
Per tanto tempo è stato solo "il tuo ricordo che mi bussa e mi fa male un po'".

Magari è una questione di competizione. 
Si dice che ci sia sempre un vincitore e un perdente in questi casi; se la vittoria è data da quanto poco tempo si impiega a rimpiazzare l'altro, io ho palesemente perso. 
Se vogliamo dirla tutta, io non ho neanche partecipato alla gara: non ho mai sentito la voglia né il bisogno di rimpiazzare nessuno, altrimenti probabilmente mi sarei tenuta stretta chi avevo già vicino. Un po' mi dispiace per chi sinceramente pensa di poter semplicemente sostituire un essere umano con un altro, e per chi crede ancora che storia del "chiodo scaccia chiodo" funzioni. 
Chiodo non scaccia chiodo, chiodo fa soltanto un buco più grande.

Comunque ho perso, ma onestamente parlando mi fa piacere aver perso. In questo caso significa soltanto che sono stata onesta con me stessa e ho onorato un paio di cose in cui credo, non che sono sola e nessuno mi ama. Spero che l'altra parte coinvolta possa dire lo stesso, dico davvero... e poi ci penso, però.
Penso che alla fine non sono arrabbiata. Non sono sconfitta, non sono invidiosa, non sono ferita, non sono amareggiata. Qualcos'altro mi fa venire il sangue amaro quando ci ripenso, la stessa cosa che mi impedisce di ascoltare certe canzoni senza che mi cambi l'umore, la stessa cosa che mi stringe lo stomaco quando leggo certe cose. 

Il mio è solo orgoglio. Che, tra parentesi, è anche la parte di me che ne è uscita più danneggiata.
E' il mio orgoglio malmesso che si lamenta perchè sono stata rimpiazzata così presto. Me lo immagino come un bambino capriccioso rannicchiato all'angolo: il mio orgoglio che geme e si lamenta per tutte le cose che qualcuno sentirà ma io non mi sono mai sentita dire, e per quelle cose che avevo e non avrò più. Prendersela con chi riceve le nuove attenzioni è troppo facile, è puntare il dito contro chi non ha alcuna colpa; la verità è che al mio orgoglio non interessa chi sia che adesso riceve le attenzioni, a lui dà soltanto fastidio che non sia io.





Quanto è liberatorio parlare dell'orgoglio come se fosse una forza esterna e non una parte integrante di me. 
Purtroppo è un'escamotage utile solo ai fini dell'autoanalisi e di venti righe scritte impulsivamente e non rilette; la realtà dei fatti è che quella orgogliosa sono io. Imperfetta e orgogliosa. (Il bambino capriccioso rannicchiato all'angolo suggerisce: "...e rimpiazzata.")

Quando arriva il momento in cui uno riesce a volersi bene comunque?
Quando arriva il momento in cui una persona si accetta e inizia a comportarsi di conseguenza?
Quando arriva il momento in cui posso tornare a fregarmene?







venerdì 19 settembre 2014

Tinder (c'è un problema di fondo)


Da queste parti tutti - e dico tutti - passano il loro tempo su un'app che si chiama Tinder. 
Io, che a quanto pare negli ultimi quattro mesi ho vissuto sotto a un sasso, non ne avevo mai sentito parlare fino a un mesetto fa. Quando poi ho capito che cos'era ho reagito come avevo reagito a Facebook sei anni fa: "manco morta".
Per chi, come me, vive sotto ai sassi, lo spiego in due parole: Tinder è una dating app che prende alcune nostre informazioni da Facebook, come nome, foto, età e interessi, e ci abbina a una serie di persone simili a noi che vivono nelle vicinanze. E' un enorme catalogo di foto, per ogni foto ci sono due opzioni: scorrere verso sinistra vuol dire "nah, il prossimo" e scorrere verso destra equivale a un "sei carino, ci può stare". Se entrambe le persone scorrono verso destra vengono avvertite e messe in contatto tramite la chat di Tinder. 
Questo, in due parole, è Tinder. Guardare foto di gente a random e decidere chi ci piace e chi no con un banale scorrimento di pollice.

Comunque, basta vedere com'è andata a finire con Facebook per capire che sono una persona molto coerente. Ho scaricato Tinder. Mi sono detta: "le mie colleghe ci si ammazzano dalle risate, e poi socializzare un po' non mi potrà fare poi così male", e l'ho scaricato.

Nell'arco di mezz'ora è stato dolorosamente chiaro che le mie amiche hanno pienamente ragione quando mi prendono per il culo per la mia incapacità di scegliermi gli uomini
Se dovessi azzardare una percentuale di ragazzi che mi hanno fatto scorrere il dito a destra (ergo "sei carino, ci può stare") direi che si aggirerebbe intorno al 3%. Tenendomi molto larga. Arrotondando per eccesso. Esagerando pure un po'.

Mentre guardavo le foto di questi perfetti sconosciuti, pensavo una serie infinita di cose. 
Ad esempio:
"Poveraccio questo però, a me non piace ma magari è un sacco simpatico"
"Questo sicuro è uno pieno di amici"
"Se solo sapessi che voce c'ha questo qui... perchè magari ha una bella voce e con una bella voce si guadagnano un sacco di punti"
"No, te proprio no"
"Guarda che faccia simpatica!"
"Ok, questo magari ha scelto una foto in cui è venuto male..."
"Gesù bambino peccarità"

Dopo la prima cinquantina di foto, le voci nella mia testa hanno iniziato a trasformarsi in quelle delle mie migliori amiche, che di solito sono presenti mentre faccio questo tipo di ragionamenti.
"Mery, te prego, no. Ma uno che si fa i selfie nella vasca da bagno vuota quanto pensi che sia intelligente?"
"Sì Me, ok, questo è figo, però non mi sa di niente, c'ha lo sguardo vacuo... Con la gente ti ci dovrai pur dire qualcosa no?"
"Se mi dici che ti piace questo ti giuro che non ti parlo più."
"No, la mia risposta è no. Qui c'è un problema di fondo."

Ho due amiche fantastiche.
Dolci, disponibili, gentili, leali e soprattutto abbastanza stronze da farmi sempre notare che, quando si tratta di me, c'è un problema di fondo.
E fin qui.
Che problema sia, in realtà non l'ho ancora capito.
Le suddette amiche non si sono mai dilungate in spiegazioni.
Se dovessi tirare a indovinare, direi che è qualcosa che suona come "se ti piacciono solo ed esclusivamente super belli poi non ti lamentare se hanno lo spessore intellettuale di un cucchiaino", o anche "tu ti fai veramente, seriamente, assolutamente troppe pippe mentali".

Dare spago a queste chiacchiere significherebbe riconoscere che il problema sono io, e la sottoscritta Miss Mipiaceignorareiproblemifinchènonmiscoppianoinfaccia 2014 non ha ancora deciso come prenderla.

La maratona su Tinder, comunque, continua.


Samantha Jones docet.




mercoledì 10 settembre 2014

Dalla parte giusta del mare

Ieri è successa una cosa che mi aspettavo e alla quale non riesco a credere comunque. Alla fine della conferenza per il lancio dell'iPhone 6 e dell'Apple Watch, gli U2 sono magicamente apparsi sul palcoscenico. 
Mentre io già piangevo, hanno suonato una bellissima nuova canzone e poi hanno lanciato la bomba: c'è un nuovo album. Boom! Disponibile da ora su iTunes. Boom! Gratis. BOOOOOOM!

Sono passate quasi 24 ore e il mio iPhone inizia a chiedere pietà, non ne può più di riprodurre "Songs of Innocence" in loop. Io, d'altro canto, non riesco a smettere di sentirlo. Ho aspettato così tanto tempo per avere delle nuove canzoni degli U2 da ascoltare che adesso le mie orecchie se ne stanno abbuffando, ma non è soltanto questo: è che è un capolavoro.
Quattro uomini di mezza età si sono chiusi in studio dopo qualche anno di inattività e hanno tirato fuori un capolavoro.

Per consacrare questo evento ho deciso che sarebbe stato necessario fare qualcosa di diverso.
Io e la musica andiamo tanto d'accordo con i viaggi. Mentre il panorama scorre veloce fuori dal finestrino le canzoni sembrano trovare un modo diverso di parlarmi, permeano più a fondo, sono più limpide. Mi sembrava doveroso concedere a questo nuovo album la possibilità di stupirmi in tutti i modi possibili, quindi ho messo le cuffiette e sono salita in treno.


E' iniziato un lunghissimo stream of consciousness.
Potrei mettermi a raccontare quello che ho pensato di ogni canzone, ma sarebbe noioso e inutile. Ci ho messo anni, ma alla fine ho capito che ognuno di noi ha un rapporto personale con la musica. Nonostante io muoia dalla voglia di infilare un paio di cuffiette nelle orecchie di ogni persona vivente per fargli sentire quest'album (e non mettendolo negli altoparlanti, servono le cuffiette, è un'esperienza intima), so che sarebbe una grossa perdita di tempo. Le canzoni uno le deve scoprire, ci si deve immergere consapevolmente per poi riuscirne con una sua idea, o un'emozione.
Io oggi mi sono immersa.

Mi sono seduta in riva al mare e ho ascoltato tutto quello che potevo ascoltare.

Il mare ha un potere catartico. Riesco a mettere le cose in prospettiva, davanti al mare.
Mi sono fermata a pensare che quello era lo stesso mare che avevo guardato da bambina, soltanto che ero sulla sponda opposta, su una spiaggia del Belgio, e sognavo un giorno di riuscire ad arrivare dall'altra parte del mare.
L'inevitabile momento "come cambiano le cose" è arrivato mentre ascoltavo "Every Breaking Wave". Ironico, preciso, provvidenziale. Catartico.

C'è sempre, in ogni album che si rispetti, quella canzone che senti più tua. E' quella con cui sai di avere un rapporto diverso da quello degli altri, ma anche da quello che hai con le altre canzoni. Parla di te, parla con te, ti costringe a guardare in faccia un paio di cose che cerchi a tutti i costi di nascondere sotto al tappeto. 
"The Troubles" è la mia. La canzone che ti fa mettere le mani tra i capelli. 
La voce cantilenante di Lykke Li ha toccato subito un nervo scoperto. E' strano sentirsi presi in giro da una voce registrata su una canzone, però di cose strane me ne succedono tante. E' strano anche che un verso sussurrato, se sono le parole giuste, nella mia testa sia un urlo di battaglia.

Jovanotti voleva che danzassimo tutti con i nostri demoni. Io penso che già sapere che facce abbiano sia un grosso passo avanti.


Grazie, U2.
Adesso manca solo l'annuncio del tour e poi abbiamo fatto tombola.
E se volete continuare con la storia della roba gratis, io non mi lamento.


p.s. Lui è il simpaticissimo gabbiano con cui ho passato la giornata.

martedì 9 settembre 2014

La vita è quello che succede mentre aspetti che succeda

Il sole splende in quel di Londra.
Il tempo è clemente, la temperatura è ottima. 
L'atmosfera è rilassata, la compagnia è piacevole.
Il lavoro procede bene, le soddisfazioni arrivano.
Ho un buon libro, e due giorni liberi da passare come meglio preferisco.

"Quindi? Che cosa vuoi? Che cos'altro è che ti manca, ancora?"

C'è una certa elettricità nell'aria, un sentore che presagisce l'arrivo di qualcosa, che mi lascia guardinga e vibrante. 
Sarà che c'è la possibilità che gli U2 si facciano vedere al lancio dell'iPhone 6 oggi, lanciando il nuovo album? 
Forse. Oppure è, più semplicemente, che la mia mente vaga per luoghi lontani immaginando scenari improbabili.

"Che cos'è che aspetti adesso? Stai facendo il countdown per qualcosa."

Aspetto di tornare a casa, aspetto di fare un viaggio pieno ed emozionante, aspetto novità che diano una scossa a tutto quanto. E' nella natura umana non essere mai soddisfatti, e, nello specifico, è nella mia natura essere sempre in attesa di qualcosa.
Jovanotti diceva "stanno tutti aspettando che succeda qualcosa che tolga il velo di polvere dalla realtà, stanno tutti aspettando che arrivi la sposa, coi fiori in mano e una promessa di felicità".

La sposa è arrivata, ha ballato, ha sorriso. Ci ha lasciati tutti a chiederci se saremo mai così felici.
Quando il mondo intorno a noi cambia, ci vediamo costretti a fare dei paragoni. Immaginiamo il futuro, facciamo i conti col passato, tiriamo le somme. 
Spesso i conti non tornano.

Non avrei immaginato di essere dove sono, adesso.
Avevo in mente diversi scenari, ma nessuno di loro era questo. Non che ci sia da lamentarsi, so di essere in un bel posto e, soprattutto, so di essere dove devo essere. E' stata soltanto l'ennesima prova di quanto la vita se ne freghi dei progetti che uno fa, o del tempo che uno ha investito in certe cose: lei cambia comunque. E' inutile puntare i piedi e cercare di fermarla, lei andrebbe avanti trascinandosi dietro brandelli di noi, spezzandoci. Tanto vale rimanere integri e salire a bordo, ciechi, disposti ad andare ovunque lei ci porti, senza illuderci di avere qualche tipo di controllo sul timone.

Ho istituito i "Me Days", giorni in cui faccio qualcosa solo ed esclusivamente per me, inderogabilmente sola. Mi ascolto, mi interrogo, mi faccio delle domande scomode. Cerco di fare un po' i conti con me, di capire da che parte sto e, ogni tanto, anche a che gioco sto giocando.
Mi perdo con una facilità tale che ogni tanto devo fermarmi un'attimo e aspettare di raggiungermi.

Ho letto da qualche parte che "life isn't about finding yourself, it's about creating yourself".
Io non credo. Ci sono cose che non posso cambiare. Che a me piaccia o no, alcune cose mi piaceranno sempre, altre non le condividerò mai... se questo non è un tratto distintivo del mio essere, allora non so cosa lo sia. Non devo creare niente, devo solo venirci a patti. Fare pace con me.

Nel frattempo vago e mi guardo intorno, aspettandomi sempre di ritrovarmi in un panorama sconosciuto, una vecchia canzone, un posto inesplorato.
Auguro a me stessa di avere il coraggio di non smettere mai di cercare.






martedì 26 agosto 2014

Meno uno

Avevo programmato questa serata con attenzione da mesi: sapevo che avrei passato la vigilia del mio rientro a casa a letto, con un buon film, a farmi almeno 9 ore di sonno meritatissimo.
Non è andata proprio così.

La prima cosa che ho fatto appena tornata dal lavoro è stata riprendere il mio coinquilino per la sua Ice Bucket Challenge. Poi è arrivato il momento di cenare, che in questi casi equivale a finire qualsiasi tipo di cibo ancora commestibile che potrebbe andare a male prima del mio rientro. Ho cenato con un filone di pane.

Qualche imprevisto e due mal di testa dopo, ho ceduto: ho fatto pace con il fatto che la vigilia del mio rientro non sarebbe andata come avevo immaginato. Mi sono versata un bicchiere di Malibu (che poi sono diventati tre) e mi sono detta che tanto, una notte insonne in più o una in meno, non fa molta differenza.

Il mio lato ossessivo-compulsivo ha iniziato a farsi sentire. Presa dal panico, ho ricontrollato la valigia. Tra le cose che rischiavo di dimenticarmi c'erano il caricabatterie del telefono, il libro che sto leggendo e il mio discorso per il matrimonio. Ho telefonato al taxi che mi viene a prendere domattina alle 6, per confermare che mi sarebbe venuto a prendere domattina alle 6. Ho ricontrollato la valigia, e tra le cose che rischiavo di dimenticarmi stavolta c'erano le cuffiette. Ho bevuto un altro Malibu.

Ore 23:40.
Seduta di fronte al computer, moderatamente brilla.
In pigiama, con la stessa vitalità di un koala morto.
Stanca come se avessi lavorato 16 ore, avendone lavorate 9.
Emozionata. 


domenica 24 agosto 2014

#ASLIceBucketChallenge - ogni tanto chiediamoci il perchè



Il telefono comincia a squillare a raffica, sono tre persone diverse che, dopo aver visto il video della mia Ice Bucket Challenge, chiedono: "Ma hai donato?"

Poi iniziano a spuntare su facebook status passivo-aggressivi di gente che si chiede perchè uno dovrebbe vuotarsi una secchiata d'acqua gelata in testa per fare beneficienza. Non sarebbe meglio fare una donazione?

Se la gente ci è o ci fa, io non lo so.
So che a me l'iniziativa mi è piaciuta da subito, perchè avendo le orecchie ho ascoltato quando chi la faceva, prima di versarsi l'acqua addosso, ne spiegava la causa.

L'Ice Bucket Challenge è un'iniziativa promossa dalla ALSA, un'associazione fornisce sostegno e fondi ai malati di SLA, che sta per Sclerosi Laterale Amiotrofica. Quando scrivono #ALSIceBucketChallenge, l'ALS davanti non sta lì per bellezza, e scusate per la confusione.

E' iniziata come un modo per far conoscere alla gente la malattia e le associazioni che se ne occupano, perchè versarsi del ghiaccio sulla testa è quanto più vicino un essere umano sano possa arrivare a capire come si sente quotidianamente un malato di SLA. Il concetto è che, dopo essere stati nominati, si deve fare una donazione oppure versarsi una secchiata d'acqua ghiacciata addosso. Ovviamente fare entrambe le cose è non solo la soluzione più divertente, ma è anche quella più accattivante: grazie a questa iniziativa la ALSA ha raccolto 53 milioni di dollari nell'ultimo mese. L'anno scorso, senza l'Ice Bucket Challenge, erano stati appena 2 milioni.

Ecco una lista di alcuni personaggi celebri (tutti stupidi, ovviamente) che hanno partecipato e donato grazie alla Ice Bucket Challenge: Bill Gates, Chris Martin, Charlie Sheen, Ben Affleck, Oprah Winfrey, Patrick Stewart, Novak Djokovic, Gerard Pique, Hugh Jackman, Taylor Swift, Gwyneth Paltrow, Mark Zuckerberg.

Tutti stupidi, che si tirano le secchiate d'acqua in testa perchè non hanno niente di meglio da fare.
Però è bello sapere che c'è ancora tanta gente a cui piace andare controcorrente solo per il gusto di farlo, di poter dire "ah, a tutti piace questa cosa, ma io la penso diversamente perchè non sono mainstream". E' che sarebbe bello se ogni tanto queste belle persone si documentassero prima di parlare, così almeno sarebbe una discussione sensata e ad armi pari e non soltanto un lamentarsi senza fine.

Qua sotto c'è un signore che la Ice Bucket Challenge l'ha fatta come un vero gentleman:


Invito i miscredenti a riconsiderare, e a tirarsi una benedetta secchiata d'acqua in testa, anche solo per il gusto di farlo.
Invito tutti quanti ad andare su http://www.alsa.org/donate/, secchiata d'acqua o no.

lunedì 18 agosto 2014

Shake It Off - 4 minuti di invincibilità

Oggi, mentre io correvo su e giù per il negozio e il lavoro assorbiva il 135% dei miei pensieri, Taylor Swift ha annunciato ufficialmente il nuovo album e pubblicato, a sorpresa, il primo singolo estratto.

Sono tornata a casa, sono andata in palestra, ho cenato con tutta calma, preparato il pranzo per domani, chiacchierato con i coinquilini. Ignara di tutto.
Poi mia sorella mi ha ricordato che diecimila chilometri non sono niente se si parla di Taylor Swift.



Sono passate due ore e mezzo. Sto ancora guardando il video.

Taylor Swift ha un potere particolare: mi legge nel pensiero.
Riesce a scrivere canzoni che mi dicono esattamente quello che ho bisogno di sentirmi dire.

Quando ero in America, durante l'anno più bello della mia vita, lei ha scritto "Fearless". Quando mi serviva il coraggio per finire una storia che avevo trascinato per le lunghe, lei ha scritto "Breathe". Quando l'adolescenza finiva e tutto faceva paura, lei ha scritto "Never Grow Up". Quando mi sentivo a terra e mi sembrava di non valere nulla, ha scritto "Mean". Quando volevo libertà, ha scritto "We Are Never Ever Getting Back Together". 
Quando ho fatto 22 anni, Taylor Swift ha scritto "22".

Adesso Taylor Swift ha scritto "Shake It Off".
Io avevo bisogno di leggerezza. Avevo bisogno di tornare un po' me stessa. Volevo sentirmi per qualche minuto ancora quella neo-ventenne che passa la notte a leggere e poi la mattina è uno straccio. Quella che fa battute nerd che nessuno capisce, che passa tre ore al telefono con le amiche senza dirsi assolutamente niente. Volevo essere ancora la ragazzina che balla (male) come se nessuno la stesse guardando. Sento la mancanza delle risate non giustificate, degli amici che stanno dalla mia parte anche quando ho torto, della sicurezza delle quattro mura della mia stanza.
Di provare tutte queste cose, forse, non me n'ero neanche accorta.



Ho messo le cuffiette e ballato (male) come se nessuno stesse guardando.
Ho di nuovo sedici anni.
Qualsiasi cosa mi dicano, non mi tocca. 
Proviamo?

Domani al lavoro passa l'area manager a fare l'ispezione, quindi vai al lavoro un'ora prima per mettere a posto tutto quello che le colleghe non sono riuscite a finire di fare.
I'm just gonna shake it off.
Sono quattro mesi che non vedi i tuoi amici e mancano ancora ben nove (quasi otto) giorni al tuo rientro a casa.
I'm just gonna shake it off.
Il trasloco - anche solo il pensiero del trasloco - è una grandissima rottura di coglioni.
I'm just gonna shake it off.
Tua madre ti ha gentilmente consigliato di andarti a fare una lampada altrimenti al matrimonio sembrerai la sorella albina dello sposo marocchino.
I'm just gonna shake it off.
Entri al lavoro, un sole che spacca le pietre. Esci dal lavoro, il diluvio universale.
I'm just gonna shake it off.
Non sai cantare, sei stonata come una campana struppia, e di ballare manco a parlarne. Dovresti seriamente iniziare a considerare l'idea di cantare in playback e evitare i balletti ad ogni costo.
I'm just gonna shake it off.
Pesi sempre 5kg in più di quello che vorresti.
I'm just gonna shake it off.
E' mezzanotte e mezza e tu balli come una cretina, voglio vedere domattina alle sette quanto sei pimpante.

Cause the players gonna play play play play play
and the haters gonna hate hate hate hate hate
and I'm just gonna shake shake shake shake shake
shake it off, shake it off.

(Io che ballo)






sabato 16 agosto 2014

Mr. Rochester

Ne ho appena scritto anche qui, ma essendo ReadWave un sito serio non mi era possibile esprimermi con tutta la veemenza che l'argomento richiede.

Ho letto Orgoglio e Pregiudizio. A quasi 23 anni. Sì, lo so che è una vergogna. 
Avevo visto il film (l'ultimo, quello con Keira Knightley e Matthew McFayden) un centinaio di volte, la storia la conoscevo bene. Personalmente, ho sempre adorato Mr. Darcy. 
Quei suoi sguardi indecifrabili, le risposte enigmatiche, la franchezza e l'umiltà con cui si dichiara a Lizzy Bennett alla fine di tutte le loro vicissitudini... Darcy è davvero un uomo da sposare.

Se non fosse che poi ho letto il libro e, be', mi sono ricreduta.
Mr. Darcy è una femminuccia.
Non è come me lo immaginavo io, tenebroso, imprevedibile e un po' stronzo (nel senso buono, quel genere di stronzo che a noi donne sembra piacere tanto). Il Fitzwilliam Darcy di Jane Austen è snob, passivo e pure un po' testadecazzo.
In due parole: sogno infranto.

Una volta finito Orgoglio e Pregiudizio ho deciso di continuare con l'ambito, e quindi ho fatto una veloce ricerca su internet per capire cosa leggere dopo. Ho trovato, con mio grande stupore, una comunità di gente che non sopporta tutta questa riverenza nei confronti di Mr. Darcy (ho addirittura pensato di farci un business: magliette cappellini con su scritto "Mr. Darcy is a pussy") e che preferisce altri personaggi della letteratura inglese di quel periodo. Tra tutti, il nome di Mr. Rochester era ricorrente. Mi sono fidata.

Essendo però le undici di sera, non potevo uscire e andare a comprare Jane Eyre in quel momento, quindi ho fatto una cosa che non faccio mai: ho visto il film prima di leggere il libro.
Ero curiosa, era tardi, il film era recente... mi sono detta "perchè no?" e l'ho messo a caricare.

Il film è del 2011, la regia di un certo Cary Fukugama, e la protagonista è Mia Wasikowska (già vista in "Alice in Wonderland" di Tim Burton). Di Mr. Rochester non sapevo assolutamente niente. 

Questa è stata la mia reazione quando ho visto che lui, quello che avrebbe definitivamente dato un signor calcio in culo a Mr. Darcy, era interpretato da nientepopodimenoche Michael Fassbender:



Il giorno dopo sono andata a comprare Jane Eyre, il libro.
Divorato. 

Finalmente posso dirlo con cognizione di causa: Mr. Darcy è na pippa. Un niente, uno zero cosmico, un coglioncello in confronto a Mr. Rochester.
Rochester, che nella vita ha fatto errori su errori ma che ce la mette tutta per farsi perdonare. Rochester, che nonostante tutto non si perde mai d'animo e professa i suoi sentimenti senza paura nè orgoglio. Rochester, che non si fa pregare mai e che parla senza peli sulla lingua.
Rochester, l'uomo perfetto.
Altro che Fitzwilliam Darcy.

C'è da puntualizzare che il fatto che ormai io me lo immagini con la faccia di Fassbender ha aiutato. 

"Oh, help me God."