mercoledì 11 dicembre 2013

Informazioni superflue

Stavo pensando... quante delle cose che diciamo al giorno sono completamente inutili? Quante sono cose che non ci ha chiesto nessuno, e che nessuno probabilmente sente il bisogno di sapere? Quante cose diciamo, quotidianamente, che restano qualche secondo nell'aria e poi si diradano senza che nessuno le respiri?

Per quanto riguarda me, almeno un buon cinquanta percento di quello che esce dalla mia bocca è completamente superfluo.

Però poi ci penso e capisco che forse le cose che diciamo gratuitamente sono le uniche che valgano qualcosa. Conoscerei molto meno le persone che mi stanno intorno se evitassero di dire, ogni tanto, la prima cosa che gli passa per la testa. 
Non saprei che il mio migliore amico sogna una vita in una località di mare, o che mia cognata da neonata aveva i capelli ricci, o che mia madre ha sempre voluto rileggere "Via Col Vento" ma non può perchè l'ha prestato a qualcuno che non l'ha mai restituita. Ecco, se mia madre non me l'avesse confessato sovrappensiero io non avrei saputo cosa regalarle per Natale!

Tutte le informazioni importanti, paradossalmente, ci arrivano inaspettatamente. 
Vale molto di più un "che giornata di merda" sussurrato senza pensarci che un semplice "bene" alla domanda "come stai?". Questa è una legge non scritta della comunicazione.

Forse è per questo che parlo così tanto quando nessuno mi ha fatto domande, forse è per questo che ho la bruttissima abitudine di blaterare e dire la prima cosa che mi passa per la testa: sto cercando di far fuoriuscire informazioni. Alcune completamente inutili ("oggi ho passato due ore su buzzfeed.com") e altre un po' più concrete ("questo paese comincia veramente a starmi stretto"), tutte fanno a botte per uscire dalla mia bocca, spesso nel momento sbagliato e di fronte a degli interlocutori che non captano i messaggi subliminali.

Devo ripropormi di ascoltare più attentamente, di leggere tra le righe del fumetto che si forma sopra la testa della gente mentre parla. 

Se lo avessi fatto prima ora forse avrei qualche idea in più per i regali di Natale.

martedì 29 ottobre 2013

Qualcosa


Avevo nove anni quando ho deciso che sarei andata negli Stati Uniti per un anno.
Ne avevo quasi diciassette quando sono partita.
Tra la decisione e il fatto compiuto sono passati la bellezza di sei lunghi, lunghissimi anni, in cui sono cresciuta, ho cambiato molte scuole e molti amici, in cui sono successe tantissime cose. Sei anni pieni di vita, eppure sei anni in cui ogni giorno aveva qualcosa in comune con quello precedente e quello successivo: per tutto quel tempo quando veniva il momento di andare a dormire io chiudevo gli occhi e sognavo come sarebbe stata la mia vita negli Stati Uniti.

Era quel qualcosa che ognuno di noi ha: quell'immagine, quel desiderio, quel sogno che ci fa fantasticare prima di addormentarci e che ci permette di svegliarci un po' più pronti ad affrontare un altro giorno, perchè siamo un po' più vicini al nostro sogno. Sognare l'America era il mio qualcosa, lo è stato per tanti anni.
Quando finalmente la mia avventura iniziò, quel bellissimo 14 agosto 2008, il qualcosa fu una delle pochissime cose che portai con me oltreoceano. Durante quell'anno all'estero sognavo come sarebbe stato tornare a casa: rivedere la mia famiglia, dormire di nuovo nel mio letto, mettere in pratica tutto quello che avevo imparato. 

Dopo lo stress di un viaggio lungo quasi 48 ore, le lacrime per aver dovuto lasciare la mia famiglia americana ed i miei nuovi amici e l'emozione nel rivedere quelli vecchi e i volti sorridenti dei miei genitori, l'11 giugno del 2009 sono tornata a casa. Ho mangiato un bel piatto di pasta, passato del tempo con le persone care e disfatto la valigia. Quando il fuso orario me lo ha permesso sono andata a letto.
La sensazione di smarrimento ha fatto scattare un campanello d'allarme nella mia testa, ho spalancato gli occhi e ho capito immediatamente: quel qualcosa non c'era più.
Avevo realizzato il mio grande sogno, ero andata ed ero tornata indietro, ed era stato meraviglioso, ma come ogni cosa meravigliosa mi era costata cara: mi era costata il mio qualcosa. 

Improvvisamente non avevo più un progetto, niente che mi spronasse a lavorare di più, niente che mi motivasse ad andare avanti. Mi sentivo come un cucciolo abbandonato al lato della strada, senza sapere da che parte andare. Non avevo più uno scopo.

Da quando sono tornata dall'America il mio approccio al sonno è cambiato, forse anche a causa dell'assenza di quel qualcosa. Vado a letto soltanto se sono stanca, mi addormento sempre più spesso sul divano, cerco di non dormire da sola. Sentire il vuoto dentro prima che sopraggiunga il sonno mi terrorizza.

Poi l'altro giorno ho messo via il cellulare, chiuso il libro e spento la luce. Mentre, stanca, ero proprio ad un passo dal cadere nelle braccia di Morfeo, un'idea audace ed inaspettata si è infilata nella mia testa. All'inizio era solo un sussurro spezzato dalla paura, poi è cresciuto fino a diventare sicuro, come un urlo, come una scritta su un muro, come una scelta.

Quando andiamo a dormire abbiamo tutti bisogno di ricordarci di un buon motivo per svegliarci il giorno dopo. A tutti noi serve quel qualcosa per il quale vivere, respirare, mangiare, lavorare, sudare e crescere.
Il mio è tornato forte come un tempo ed è, di nuovo, colorato di bianco, rosso e blu.



                                           ph credits: societykilledtheinnocent.tumblr.com

lunedì 7 ottobre 2013

Guida all'autocompassione 1.0

Come ogni donna degna di questo nome, quando non so bene cosa fare faccio delle liste.
Siccome è un periodo di transizione in cui si alternano periodi di grande caos a periodi di calma piatta da sbattere la testa al muro per la noia, non ho ancora ben capito come mi sento.
So here we go.

Note positive:

  • Mi manca un solo esame alla laurea. 
  • Posso ricominciare a perdere tempo, e questa è una cosa bellissima! Non che prima non lo facessi, soltanto che sentivo sempre il morso dell'angoscia mentre facevo qualcosa di diverso dallo studio. Quindi in sintesi ora posso continuare a perdere tempo, però senza sentirmi in colpa.
  • Il concerto dei Blue.
  • Il concerto di Taylor Swift. Quando? Dove? Tutte incognite. Io ci sarò. Ho una tradizione da portare avanti.


Note negative:

  • Quell'unico esame che mi manca alla laurea... è l'esame di latino.
  • Dire che sono stressata e impaurita per la tesi è riduttivo.
  • Dire che sono terrificata dai cambiamenti che ci saranno non appena mi sarò laureata è proprio l'eufemismo del secolo. Espatrio? Dove vado? E se poi non sono capace a fare un cazzo? ARGH.
  • I biglietti per il concerto dei Blue non lo ho effettivamente ancora presi.
  • Ah, e al concerto di Taylor Swift probabilmente ci vado da sola. Che gioia.



Negativo batte positivo 5 a 4.
Quindi direi che se per qualche giorno decido di crogiolarmi nella dolce malinconia di essere una quasi-laureata/quasi-expat/molto terrorizzata, potrei uscirne rinvigorita e piena di energie per iniziare a fare progetti.

Anche perchè essendo donna e degna di questo nome, non ho mai - e dico mai - preso una decisione basata sull'esito di una lista.

mercoledì 11 settembre 2013

Forza di volontà vs immensa pigrizia

Dicono che la forza di volontà sia uno di quei motori, insieme all'amore e al potere, che fa muovere questo mondo.
Dicono che riesca a far fare alla gente cose pazze, come per esempio trasferirsi lontanto da amici e famiglia, perdere 20 kg in due mesi, o smettere di fumare. Dicono che riesca a far fare alla gente cose che non credeva di poter fare. 

Su internet ci sono siti che mostrano esercizi per allenare la nostra forza di volontà, ergo si parte dal presupposto che sia un qualcosa di già intrinseco in ognuno di noi. Quindi: tutti abbiamo forza di volontà, soltanto che i fortunati che riescono ad usarla a proprio piacimento sono davvero pochi.

C'è chi, per esempio, usa la propria forza di volontà per rimanere attaccato a cose nocive: un fidanzato che ci danneggia, una brutta abitudine, la procrastinazione. In quei casi la forza diventa improvvisamente fortissima, incontrollabile... irrazionale.

Wikipedia dice: "Per volontà si intende la capacità fattiva e intenzionale di una persona di determinare una o più azioni dirette a uno scopo preciso".
Le parole chiave sono "intenzionale" e "scopo preciso".

Il nostro cervello, però, non va sempre molto d'accordo con quella parte di noi che vuole raggiungere "intenzionalmente" quegli "scopi precisi". Anzi.
Spesso e volentieri è il nostro stesso cervello a creare e propinarci scuse irrazionali (ma che al momento ci sembrano completamente plausibili) per non sforzarsi ad andare d'accordo con la forza di volontà ed unirsi verso il raggiungimento del nostro "scopo preciso".

Ci induce a fare cose pazze, come per esempio pulire il cassetto dei calzini, lavare la biancheria a mano, fare il cambio di stagione ad agosto inoltrato. Cose che non avevi voglia di fare, prima di scoprire che raggiungere il tuo "scopo preciso" richiedeva una bella dose di lavoro.

Cose come scrivere questo post invece di studiare latino.

Eterna battaglia, quella tra il mio cervello pigro che procrastina e la mia forza di volontà assopita. Chi vincerà?
A domani l'ardua sentenza.

giovedì 29 agosto 2013

22 anni e sentirsene 12

Come mi è già capitato di scrivere, a 12 anni avevo 27 poster di Lee dei Blue appesi alle pareti della mia camera. V-E-N-T-I-S-E-T-T-E.
I Blue per me erano stati un fulmine a ciel sereno. Passavo la mia preadolescenza beata, tra Disney Channel e Cartoon Network, quando un giorno sono capitata casualmente su un canale televisivo che non avevo mai visto. Si chiamava MTV, e c'erano quattro ragazzi che ballavano su una canzoncina orecchiabile.

E' stato l'inizio della fine.
Per l'ora di cena sapevo i loro nomi, le date di nascita, lo stato sentimentale e la data d'uscita del loro album. Era "One Love".
Le mie amiche avevano fatto la stessa scoperta, più o meno nello stesso periodo. Inutile dire che si è creato una specie di "Blue Fan Club Morlupo" che ci ha tenute occupate per pomeriggi interi e ci ha fatte sognare ad occhi aperti per ogni notte.

Ora ho 22 anni, compiuti ieri
Sulle pareti della mia cameretta ci sono un sacco di foto, qualche poster degli U2 e uno specchio. Tantissime cose sono cambiate: del "Blue Fan Club Morlupo" siamo rimaste in due, ma ancora amiche, ancora un po' dodicenni nell'anima. 
Loro, i Blue, di album ne hanno sfornati altri tre, e si sono presi una pausa di ben otto anni. 
Noi, però, non li abbiamo mai dimenticati.

Penso che farò fare due magliette con su scritto "Blue Fan Club Morlupo", e che le indosseremo al concerto.
Penso che per qualche ora tornerò ad avere dodici anni e a non vergognarmene minimamente.
Dopo 10 anni, finalmente andremo a vedere un concerto dei Blue.

domenica 18 agosto 2013

"Guardare" è il nuovo "fare"



Dicono che per scrivere di tante, belle e varie cose tu debba fare tante, belle e varie cose.
Be', mi amareggia dirlo, ma purtroppo questo non è il mio caso. Non più almeno.
Non da quando sono tornata dagli Stati Uniti. Non è un caso che il mio blog fosse seguitissimo (non per vantarmi, ma è vero: Kingdom of Nowhere mi ha dato tante soddisfazioni) quando ero in Oregon: facevo nuove esperienze, ero sempre entusiasta e meravigliata da tutto, avevo un'energia e una carica davvero invidiabili. Ho provato a tenere Kingdom of Nowhere in vita quando sono tornata in Italia, ma non è durato molto. Evidentemente non c'erano più così tante nuove esperienze di cui scrivere.

Adesso sono ancora qui.
Ancora all'università (per poco, si spera!), ancora a casa con i miei genitori, esco ancora con i soliti vecchi e fidati amici, viaggio poco e sono diventata una persona pigrissima. 

In compenso, cerco di dimenticare tutto questo divorando serie televisive e film. Tante serie televisive, e tanti film. Ad esempio: maggio è stato il mese di Una Mamma per Amica: l'ho visto tutto - e sono 9 serie (N-O-V-E.).
Ora sono alle prese con un classico della mia preadolescenza: The O.C.. Andava in onda mentre io andavo alle medie, ricordo i poster di Seth e Ryan sulle pareti della mia cameretta (quasi subito rimpiazzati da quelli di Lee Ryan dei Blue... sorry Seth!) e le infinite chiacchierate con le mie amiche su come Julie Cooper fosse una grande stronza e Marissa una povera alcolizzata. Ora le amiche con cui parlo sono sempre le stesse, e la qualità dei discorsi non è cambiata molto: abbiamo soltanto rimpiazzato The O.C. con l'università, i ragazzi reali, New Girl e, ahimé, gli One Direction (ancora, scusa Seth!).

Questa mia dipendenza da qualsiasi cosa che sia intrattenimento ha un milione di sfaccettature. Ieri notte l'ho passata a guardare puntate vecchie di The Ellen Show. La sera prima ho visto un film davvero ben fatto, "The Big Wedding", e subito dopo un film davvero poco comprensibile, "Spring Breakers" (ci tengo a precisare che il film no, non mi è piaciuto, ma applausi a non finire per quell'incredibile attore che è James Franco).

Stasera sono in vena di commedie, per la precisione commedie romantiche (lo ammetto: ho cercato "chick flicks 2013" su Google e tra la lista ho scelto). Ho messo la pizza surgelata nel forno e guarderò "Something Borrowed".

Arriverà un tempo in cui scriverò di tante, belle e varie cose, perchè avrò ricominciato a fare tante, belle e varie cose.
Per adesso, le guardo in tv.

Si accettano suggerimenti su serie tv e film da guardare!

martedì 30 luglio 2013

Deliri di onnipotenza - writing is mandatory



Ci sono quei giorni in cui non c'è un motivo particolare, devo solo scrivere.
Ci sono i giorni in cui devo scrivere per lavoro, o per l'università. Ci sono i giorni in cui devo scrivere una lettera per qualcuno, oppure devo aiutare qualcun'altro a scriverla. Ci sono i giorni in cui non scrivo e basta.
E poi ci sono giorni come oggi, in cui devo - obbligatorio - mettermi di fronte a una pagina bianca ed iniziare a scrivere.

Quando lo faccio è meraviglioso.
Mi fa impazzire la consapevolezza del potere che ho: soltanto tre parole e improvvisamente c'è un mondo nuovo, una persona nuova, una realtà diversa. 
Con una pagina bianca davanti, siamo tutti infallibili. Siamo tutti Dio.



Per qualche ora, oggi, voglio essere Dio.

domenica 28 luglio 2013

I 15 punti dell'amore.

1     Rispetto. 
Sempre e comunque.
2     Comunicazione.
Si parla di tutto, in qualsiasi momento se è necessario e se si deve urlare si urla.
3     Liti costruttive.
 Si tira fuori tutto a costo di fare male l’uno all’altra e poi si fa pace.
4     Parlare.
Se una cosa è bella si dice, se si è felici si dice, se si è scoglionati si dice. Si dice tutto quello che si vuole dire, specialmente le cose belle.
5     Iniziativa.
Si fanno tante cose insieme, ci si diverte e si ride e si vedono posti diversi e si gioca.
6     Comprensione.
Ci si mette sempre e comunque nei panni dell’altro e si cerca di capire.
7     Ascolto.
Se l’altro chiede qualcosa o comunica qualcosa, si ascolta bene e con entrambe le orecchie.
8     Sacrificio.
Si fanno anche cose che non si voleva se sono importanti per qualcuno.
9     Compromesso.
Non si vince sempre. E’ meglio stare insieme che avere ragione.
   Tolleranza.
Se si sbaglia, si riprova e si cerca di perdonare.
1     Trasparenza.
Non si tengono segreti, si dice anche quello che sembra scomodo.
         Unità.
 Una relazione si fa in due e solo in due.
         Fiducia.

         Pazienza.
     Complicità.

martedì 9 luglio 2013

Filtro

Ho un'amica (e mica una sola) che ADORA parlare. 
Parla come se non ci fosse un domani. Lei apre la bocca e chiacchiera. Il bello è che non dice niente. Le manca il filtro.

Mio fratello, invece, è un tipo criptico.
Parla poco, ma sono sicura che ha sempre qualcosa (di intelligente) da dire. Probabilmente il suo filtro è più fitto di quello della mia amica. 

Il filtro in questione è quell'organo - non scientificamente attestato, ma sono sicura che c'è - che setaccia tutto quello che proviene dal cervello e cerca di uscire tramite la bocca. 
Un organo particolarmente utile, senza il quale probabilmente la nostra vita sociale sarebbe molto più difficile. Quando, per esempio, vedete una persona sovrappeso ingozzarsi di cibo come se avesse vissuto in Cambogia negli ultimi sei mesi, il filtro è quella cosa che vi impedisce di avvicinarvi e sussurrare "Magnatela na cosetta, no?"
In questi casi il caro, amatissimo filtro ci salva la faccia. Letteralmente. Ci salva la faccia da un potenziale malrovescio.

In altri casi, il filtro ci rovina la vita.
Quando ci sono cose che vogliamo dire, ma che, per qualche motivo, il filtro non fa passare. Perchè magari sono cose che potrebbero far arrabbiare qualcuno, o che potrebbero scatenare una discussione. Oppure sono cose che non vogliamo dire ad alta voce, per non farci del male da soli. 
Quell'insieme di cose che poi dal filtro passa alla bocca dello stomaco, si annida tutto lì e poi sbrogliare i nodi diventa un casino. 

Ecco, il mio filtro è intasato.
Sono arrivata al punto di non sapere più dove mettere tutte queste cose che il filtro ha bloccato, e quindi dopo un po' le parole hanno iniziato a bypassare il dannato filtro e ad uscire direttamente dalla mia bocca, senza che potessi farci niente. Come un caso patetico di ubriachezza molesta, però perenne (ecco, l'alcol è una delle poche cose che manda il tilt il filtro e la roba esce da tutte le parti).

Quand'è così, come si fa?
Un bel respiro.
Si pulisce il filtro.

Si tira fuori tutto. Una volta per tutte. Senza paura.
"Bastano venti secondi di spudorato coraggio" (cit. We Bought a Zoo)

E poi si ricomincia.
(Stando attenti a non intasare tutto un'altra volta. Che mica si può andare dalla gente a sputargli in faccia rancori nascosti una volta alla settimana, eh! Sennò il malrovescio di prima lo prendiamo comunque.)


venerdì 5 luglio 2013

Due lettere, una sillaba


Mia mamma un giorno mi ha detto che la mia prima parola è stata "no".
Dice che alla tenera età di 7 mesi ("Eh sì, hai iniziato a parlare a sette mesi e purtroppo non hai più smesso." cit. mia mamma) mia sorella stava tentando di farmi mangiare con il solito, classico, orribile gioco dell'aeroplanino. Sapete no, quello in cui un troglodita alza il cucchiaio e inizia a parlare come Dory di Nemo dopo una lobotomia e cerca di imboccare il povero infante. Ma comunque. 
Mia sorella cercava di nutrirmi ed io, evidentemente spazientita da quel dannato aeroplanino, l'ho guardata e ho detto solo: "No". 
Così, senza aver mai parlato prima in vita mia.
Senza aver mai detto "mamma", o "pappa", o qualsiasi altra parola frequente come prima parola di un bambino. 
Mia mamma sostiene che fosse un "no" ben scandito, non un mugugno indistinguibile che qualcuno potrebbe aver scambiato per un no. Era un "no" convinto, consapevole e autoritario. 
Quella è stata la mia prima volta, ma ho continuato a dirlo per molti, molti anni.

Il fatto che "no" sia stata la mia prima parola dovrebbe dirla lunga.
Da quel primo "no" verso la pappetta, con gli anni, è diventato un "no" di molto più ampia portata.
Da "no alla pappetta" a "no ai cambiamenti", oppure "no alle occasioni" e il migliore: "no al duro lavoro".

La situazione poi mi è sfuggita di mano e la mia vita ormai è un susseguirsi di no.
Almeno Chiara e Martina avevano detto no solo al colesterolo (ma sì a Valsoia, bada bene), io dico no no no no no no a tutto quanto. Se fossi tedesca potrei tranquillamente passare per la pronipote di Hitler.

Dire di no significa non cambiare, non andare avanti, non peggiorare e non fare errori. In realtà significa non fare assolutamente niente, e non facendo niente non si può sbagliare.
E invece magari è proprio non facendo niente che si sbaglia tutto.

Ho quindi deciso che, liberamente ispirandomi a Jim Carrey in "Yes Man", dirò di sì.
Sono comunque due lettere, una sillaba. Non si fa nessuno sforzo a sostituire il "no" con il "sì", quindi dirò di sì.
Non a tutto, certo. Non è che se adesso arriva Jim Carrey e mi chiede di andare a buttarmi dalla cima di una montagna a cavallo di una mountain bike gli dico di sì (dovrei prima imparare ad andare in bici...). 
Però magari è vero che se ti apri al mondo le cose belle poi arrivano.

Quindi sì.

photo credits: Bianca Hall

giovedì 4 luglio 2013

Indipendence day


4 Luglio 1776 : tredici colonie nordamericane dichiarano la loro indipendenza alla Gran Bretagna, formando il nucleo attorno al quale poi nasceranno gli Stati Uniti d'America.

4 Luglio 2013 : la sottoscritta non supera un esame all'università e decide, dopo lunghe consultazioni con la sua amica, di non lasciare che questo giorno venga ricordato soltanto come il giorno in cui la suddetta non passò l'esame, ma più che altro come il giorno in cui WonderMeryLand venne alla luce.


Non sembra un'ottima introduzione per un blog, ma rimanete connessi e (forse) non ve ne pentirete.

Questo non è tecnicamente il mio primo blog.
Ho iniziato, come moltissimi altri, con i blog Windows Live, nel lontano 2006. Ero una quindicenne perennemente arrabbiata, ma avevo tantissime cose da dire. Maggiormente boiate. 
Tutto cambia nell'agosto 2008, quando parto alla volta degli Stati Uniti per un anno di studio in Oregon, e il blog diventa il mio principale contatto con gli amici e la famiglia, nonché la mia unica valvola di sfogo. Non ero più così arrabbiata ma, ancora, avevo tantissime cose da dire. Stavolta cose belle.
Un volta tornata in patria il blog passa da Windows Live a Wordpress (è ancora lì, per chi volesse conoscere il prequel) e, lentamente, diventa più un vecchio diario di ricordi che un blog vero e proprio.

Ultimamente, però, ho iniziato a sentire quel campanellino fastidiosissimo nella testa che suona soltanto quando c'è qualcosa che non va, e da brava paranoica schizzoide che sono non ho potuto far altro che correre dalla mia migliore amica (aka ancora di salvezza, mahatma gandhi, pozzo di scienza e conoscenza ecc., ma la chiameremo soltanto F.) per farmi analizzare e capire cosa ci fosse di sbagliato in me.
Ed ecco qua che abbiamo capito che dovevo ricominciare a scrivere, per una serie molto varia di motivi. Primo tra tutti, recuperare la mia sanità mentale.


D'ora in poi, a piccoli passi, ci scopriremo.
Welcome to WonderMeryLand.

Stay tuned.


p.s. per chi volesse conoscere il prequel: kingdomofnowhere.wordpress.com enjoy!