venerdì 26 settembre 2014

Il bambino capriccioso rannicchiato all'angolo



Le storie che le persone si raccontano per riuscire a dormire la notte sono tante, disparate, e sempre improbabili. 
Se ci penso che sono vent'anni che canto questa canzone e ancora mi stupisco di quanto sia vero che i certe brutte immagini vengono a bussare proprio "appena prima di dormire". Gli 883 lo dicevano già negli anni '90. Non aprire al ricordo che bussa è tutta un'altra storia... raccontarsi qualcosa per permettersi di dormire diventa quasi inevitabile.

"Non potevo fare altrimenti."
"E' andata meglio così."
"Sarei stato infelice comunque."
"Ogni cosa succede per un motivo."

Per un motivo o per l'altro, io queste frasi fatte me le sono già raccontate tutte. Non ci ho mai creduto, nemmeno quando me le raccontavo. C'è una parte di me che mi impedisce di ignorare l'ovvio: che se ancora sto qui a pensarci - dopo mesi - vuol dire che posso raccontarmi tutte le frasi fatte del mondo, ma non risolverò un bel niente finchè non arrivo in fondo al problema.
Non sapevo neanche di avercelo, un problema.
Per tanto tempo è stato solo "il tuo ricordo che mi bussa e mi fa male un po'".

Magari è una questione di competizione. 
Si dice che ci sia sempre un vincitore e un perdente in questi casi; se la vittoria è data da quanto poco tempo si impiega a rimpiazzare l'altro, io ho palesemente perso. 
Se vogliamo dirla tutta, io non ho neanche partecipato alla gara: non ho mai sentito la voglia né il bisogno di rimpiazzare nessuno, altrimenti probabilmente mi sarei tenuta stretta chi avevo già vicino. Un po' mi dispiace per chi sinceramente pensa di poter semplicemente sostituire un essere umano con un altro, e per chi crede ancora che storia del "chiodo scaccia chiodo" funzioni. 
Chiodo non scaccia chiodo, chiodo fa soltanto un buco più grande.

Comunque ho perso, ma onestamente parlando mi fa piacere aver perso. In questo caso significa soltanto che sono stata onesta con me stessa e ho onorato un paio di cose in cui credo, non che sono sola e nessuno mi ama. Spero che l'altra parte coinvolta possa dire lo stesso, dico davvero... e poi ci penso, però.
Penso che alla fine non sono arrabbiata. Non sono sconfitta, non sono invidiosa, non sono ferita, non sono amareggiata. Qualcos'altro mi fa venire il sangue amaro quando ci ripenso, la stessa cosa che mi impedisce di ascoltare certe canzoni senza che mi cambi l'umore, la stessa cosa che mi stringe lo stomaco quando leggo certe cose. 

Il mio è solo orgoglio. Che, tra parentesi, è anche la parte di me che ne è uscita più danneggiata.
E' il mio orgoglio malmesso che si lamenta perchè sono stata rimpiazzata così presto. Me lo immagino come un bambino capriccioso rannicchiato all'angolo: il mio orgoglio che geme e si lamenta per tutte le cose che qualcuno sentirà ma io non mi sono mai sentita dire, e per quelle cose che avevo e non avrò più. Prendersela con chi riceve le nuove attenzioni è troppo facile, è puntare il dito contro chi non ha alcuna colpa; la verità è che al mio orgoglio non interessa chi sia che adesso riceve le attenzioni, a lui dà soltanto fastidio che non sia io.





Quanto è liberatorio parlare dell'orgoglio come se fosse una forza esterna e non una parte integrante di me. 
Purtroppo è un'escamotage utile solo ai fini dell'autoanalisi e di venti righe scritte impulsivamente e non rilette; la realtà dei fatti è che quella orgogliosa sono io. Imperfetta e orgogliosa. (Il bambino capriccioso rannicchiato all'angolo suggerisce: "...e rimpiazzata.")

Quando arriva il momento in cui uno riesce a volersi bene comunque?
Quando arriva il momento in cui una persona si accetta e inizia a comportarsi di conseguenza?
Quando arriva il momento in cui posso tornare a fregarmene?







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