giovedì 17 luglio 2014

Il sogno americano


Il concetto di "sogno americano" mi ha sempre affascinata, al punto di influenzare alcune delle scelte più determinanti della mia vita.
Ho sempre pensato che fosse meraviglioso pensare che c'è un posto nel mondo in cui si può essere chiunque, fare qualsiasi cosa ed avere successo, ricominciare da zero senza il fardello di convenzioni sociali o realtà che non ci calzano più a pennello. La questione del "sogno americano" è stata uno dei primi segni inequivocabili del mio amore verso gli Stati Uniti, e a un certo punto della mia vita ho fatto la valigia, preso l'aereo e sono andata a scoprire di cosa si trattasse veramente.

Dopo un mese negli States, scrivevo questo:


"Il sogno americano non esiste, belli, siete voi che lo costruite! Quando finalmente mi sono scontrata con questa brutale verita’ sono stata felicissima, perche’ sapete che vuol dire? Che non posso perdere, perche’ come si puo’ perdere un illusione? Mi sono stampata un sorriso in faccia e ho continuato a cercare di far uscire la Mery esaltata che tutti conoscete, e e’ andata a finire che ho scoperto che il sogno americano esiste. Si’, l’ho inventato io! Sto vivendo il mio sogno americano, e vi giuro che e’ da paura."

Le parole di una diciassettenne felice, con un mondo pieno di possibilità davanti e la consapevolezza di avere qualche capacità per tirarne fuori qualcosa di bello.
Il mio sogno americano, come tutti i tipi di sogni, ad un certo punto è finito e ha lasciato il posto alla realtà: ho dovuto tornare a casa. Prima di tornare, però, ho avuto il tempo di riflettere di nuovo, quando ormai il mio rientro era alle porte e il tempo rimastomi per vivere nel mio sogno americano era agli sgoccioli.

La notte prima di salire sull'aereo che mi avrebbe riportata in Italia, scrivevo questo:


"Non mi stupisce che si chiami "il sogno americano". Ma non e’ l’America a far diventare quei sogni realta’, a quello ci pensiamo noi, la nostra forza di volonta’, la nostra determinazione, l’attitudine e, come dicono i Beatles, a little help from our friends."

Ho sempre considerato queste parole una delle lezioni di vita più importanti che io abbia imparato durante il mio anno all'estero. 
Non c'è nessun "sogno americano", ci sono solo opportunità e persone in grado di coglierle. Persone pronte, preparate, volenterose, determinate, forti e coraggiose, che ci credono sempre, fino alla fine, e continuano a crederci anche quando il gioco si fa duro, senza perdere mai la speranza.

Ho scelto alcune di queste persone come miei modelli di riferimento per la persona che mi piacerebbe diventare, le ho selezionate con il tempo e alla fine è diventato un club eterogeneo e sorprendentemente diversificato. Tra tanti, spiccano alcuni nomi: Tina Fey, Steve Jobs, mio fratello, Mindy Kaling, J. K. Rowling, Taylor Swift, Aaron Sorkin, John Green, Bono e Jovanotti.
Ho usato loro e tantissime altre persone che stimo come ispirazione, li ho appesi sulle pareti del mio cervello e della mia camera per non perdere mai di vista l'obiettivo finale, che ho scoperto essere non solo lavorativo e sociale, ma anche e soprattutto personale.

Ad un certo punto della mia vita devo aver confuso USA con UK perchè mi sono ritrovata qui, a Londra, con in testa le stesse stelline e in faccia lo stesso sorriso fomentato che avevo quando sono arrivata in Oregon. 
Il problema è che non è la stessa cosa: questa non è un'esercitazione. E' vita vera.
Nella vita vera c'è poco posto per le foto sulle pareti e c'è poco margine d'errore: nella vita vera la sfida è costruirmi giorno dopo giorno, opinione dopo opinione, sbaglio dopo sbaglio e scelta dopo scelta, fino ad arrivare a meritarmi un pezzettino di muro anche io.

(p.s. mi sono riservata l'angolino tra Tina Fey e Mindy Kaling, così, per farmi due risate)





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