giovedì 24 luglio 2014

Quello che Londra non è


Oggi a Londra fanno trenta gradi.
Sì, ho scritto bene, trenta (tre-zero) gradi, un sole che spacca le pietre e manco un filo di vento. Fa talmente caldo che un mio coinquilino ha appena chiesto se c'è l'aria condizionata nella Tube; domanda che, in un anno, non si era mai posto.
Ogni tanto mi arrivano voci dalla madre patria, dicono che il tempo lasci un po' a desiderare. Piove e fa freddo, sembra che sia Novembre e non Luglio. Io ogni volta devo sinceramente mordermi la lingua per evitare di rispondere "ve sta bene."
Questa punta di acidità forse è data dal fatto che, a parte i trenta gradi londinesi a confronto con la pioggia romana (ma tranquilli, scommetto tanti soldi che tra tre giorni i ruoli si invertono e tutto torna nella norma), non c'è molto altro che si possa invidiare a Londra o a chi, come me, ci abita.

No, non inizierò a scrivere di quanto si sta male qui, di quanto è cara la vita o di quanti italiani ci sono (un indizio: tanti). Per questa volta il sole mi costringe anche a risparmiarmi il mio solito "chetempodemmerda". 
Non mi piacciono le critiche distruttive, non voglio generalizzare e non sono Beppe Severgnini.

Però c'è da dire che ogni tanto bisogna fare i conti con la realtà dei fatti (questa sconosciuta), e capita che si esca dallo scontro un po' ammaccati, disillusi e, perchè no, con un leggero giramento di scatole.
Perchè dopo qualche passeggiata, qualche esperienza e soprattutto qualche mese, oltre a vedere quello che c'è inizia a diventare dolorosamente palese quello che non c'è. Più che cercare di apprezzare Londra per quello che è e che può offrire, bisogna venire a patti con quello che Londra non è.
Ad esempio: Londra non è casa.
Già sento un coro di "Maddai? Ma non mi dire?". Ebbene sì, questo è uno dei fatti con cui ho dovuto confrontarmi. A forza di belle esperienze e di mettere sempre alla prova la mia capacità di adattamento avevo iniziato a pensare che volendo avrei potuto trasformare qualsiasi posto al mondo in casa mia.
Invece no, non è vero, non posso. Forse potrei farcela, da qualche parte, ma non qui. Questa non è casa mia. E' un'esperienza, è funzionale a qualcos'altro, è uno strumento, è un tramite, è una transizione. Ma non è casa.
Londra non è il paese dei balocchi. Non è la terra promessa dove tutte quelle bellissime frasi fatte da expat diventano realtà, come "se vuoi lavorare, lavori" e "l'inglese lo impari subito". E' una città con dodici milioni di abitanti, un tasso di immigrati altissimo e una competizione incredibile. Che l'Inghilterra e gli inglesi fossero freddi  (da tutti i punti di vista, trenta gradi o senza) lo sapevo, ma speravo in qualche modo di arrivare e portarmi il sole, e il calore, dietro. 
No, ho toppato anche questa volta.
Londra non è una città per sognatori. E' tantissime altre cose, alcune belle e alcune no. E' vibrante, viva e veloce. Ma non è il posto adatto per chi vive di pane e fantasia, il grigio della vita qui riesce quasi a spegnere qualsiasi altro colore. Non per niente si dice "sogno americano", mica "sogno britannico".


Tutte queste cose che Londra non è diventano quasi insignificanti alla luce di un sole splendente come quello di oggi, e se fosse sempre così uno potrebbe anche provare a dimenticarsele. Però, ripeto: scommetto tanti soldi che tra tre giorni l'ordine naturale delle cose verrà ristabilito e torneremo ad essere fradici, mentre a Roma ci sarà un bel sole estivo. E lì, sotto la pioggia, tutte le mancanze di questa città sembreranno un po' più importanti, un po' meno sormontabili.


L'essere umano è l'unica creatura vivente che non ha bisogno di un'esperienza diretta per imparare le cose, l'unica creatura vivente che può immaginare anche senza sapere.
La prima, vera, qualità dei sognatori è saper immaginare meglio. Alcuni lo chiamano "avere un obiettivo in mente", altri "castelli in aria" e altri ancora "aspettative di vita poco realistiche".

Io oggi lo chiamo futuro.




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