venerdì 15 aprile 2016

Homecoming - tornare a casa.

Ho sempre vissuto il blog come un viaggio. Perchè cerco sempre di raccontare una storia quando scrivo, e ogni storia la vivo un po' come un viaggio. A volte è una relazione, a volte è un'esperienza lunga e dinamica, a volte è un fallimento.
Un anno fa mi ritrasferivo a Roma dopo un anno a Londra, che per essere onesti ho vissuto come il fallimento più grosso di tutti. Ho sempre avuto problemi ad accettare la fine di qualcosa, e stavolta è stata la fine di qualcosa che avevo voluto fortemente ma che, per un milione di motivi, non era riuscita come avevo sperato. Tante colpe, tante casualità. Un anno fa tornavo da Londra con la coda tra le gambe, 7 kg in più e una grossa valigia di delusioni e lezioni da imparare.

Pensavo che il viaggio fosse finito là. "Sono andata, ho fatto, ho visto, sono tornata", un inchino al pubblico e tanti saluti a tutti. Pronti per la prossima avventura. E già mi immaginavo con un'altra valigia, stavolta piena di speranze, che mi imbarcavo verso terre lontane e ricominciavo. Altro viaggio, altro racconto sul blog.

Invece il viaggio era appena cominciato.
Ero a casa, sì, ma senza lavoro, senza prospettive, senza obiettivi e con poca esperienza. Avevo idee molto vaghe su quello che avrei fatto, ma per fortuna ero e sono ancora troppo ingenua (leggi: incosciente) da concentrarmi troppo sulle paure e rimanerne paralizzata.
Dopo i primi giorni di assestamento ("ma sei tornata? E come mai? Non ti trovavi bene? E adesso, lavori? Vivi dai tuoi? Che progetti hai?"), mi sono guardata intorno e le cose hanno iniziato ad andare al loro posto.
Per primo è arrivato il lavoro: stimolante, diverso, da "persona grande" con quel pizzico di responsabilità e intraprendenza di cui avevo disperatamente bisogno, pur non sapendolo allora.
Poi la casa, che è stata una soluzione apparentemente facile ma con anni di preparazione alle spalle che hanno compreso il farmi domande che non mi sarei fatta altrimenti, e che non mi ero mai fatta prima, ma che era arrivato il momento di farmi, come "ma io, qui, ci voglio stare?".
Poi la palestra, la dieta, le scelte di vita. Poi l'apparecchio ai denti.

Adesso sono altre le domande che mi fa la gente.
"Perchè ti sei messa l'apparecchio? Allora, come va il lavoro? Scrivi ancora? L'amore invece come va? Non ti senti un po' adolescente con l'apparecchio alla tua età?"
La differenza con prima, però, non sono le domande, ma la mia voglia di rispondere. Se un anno fa sapevo di aver fallito in qualcosa e mi sentivo di dover dare risposte alla gente, adesso difendo ogni scelta che ho fatto e ho una strada un po' più chiara davanti: quello che ho fatto l'ho fatto per un motivo, e per quello che sto facendo non devo spiegazioni a nessuno.

C'è una canzone degli Otto Ohm che dice "non torniamo più gli stessi dopo i tradimenti, la colonia estiva, l'apparecchio ai denti". Se l'avessi scritta io direbbe "non torniamo più gli stessi dopo i fallimenti, l'amore non corrisposto, l'apparecchio ai denti".
Questo è un altro viaggio. Meno letterale e fisico degli altri, più lento e subdolo, ma in un viaggio si va da A a B e ritorno, e io sto facendo la stessa cosa: devo arrivare a B per poi sapere qualcosa in più su A. Perchè poi, alla fine, il viaggio più importante è tornare a casa.

Io, un anno fa, partivo.




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