domenica 10 gennaio 2016

"Joy"

La corsa agli Oscar si avvicina, le nomination arrivano nei prossimi giorni e dopo i Golden Globes di stanotte avremo tutti le idee più chiare su chi saranno i protagonisti della prossima awards season. Il tempo stringe, quindi ho pensato di portarmi avanti con il lavoro ed iniziare a vedere uno dei film che non sfuggiranno sicuramente alla categoria "Miglior Film" e "Miglior Attrice Protagonista", "Joy", l'ultimo lavoro di David O. Russell. 
E' stato il primo che ho voluto vedere per tanti motivi: una spiccata simpatia per Jennifer Lawrence, la curiosità di vedere se il trittico Lawrence-Cooper-De Niro diretto da David O. Russell funziona davvero senza gli strascichi di "Silver Linings Playbook", il tema scottante del femminismo e delle power women, che quest'anno si è ripresentato all'infinito nel cinema, nella cultura pop e nella mia vita. Quindi ho visto "Joy", con tante aspettative e un pizzico di apprensione perchè "sai che film figo sarebbe, se fosse fatto bene". E infatti. "Joy" è fatto bene, per quanto "fatto bene" siano le parole di cui abusa più spesso chi di cinema non capisce un cazzo (insieme al binomio "Di Caprio-Oscar" e a "Tarantino-simaleieneèbellissimoioadorokillbillperòcertopulpfictionnonsibatteeh"). Certo che è fatto bene. David O. Russell non fa il regista dall'altroieri e, pur essendo "Joy" leggermente più tagliente e duro registicamente, non perde quella sensibiltà comunicativa che tanti altri provano invano ad imitare.

La trama del film, senza spoiler, racconta di Joy - una Jennifer Lawrence di cui è sempre impossibile indovinare l'età - e del suo viaggio da bambina ambiziosa a business woman, passando per casalinga disperata. La Lawrence in "Joy" dimostra ancora una volta agli scettici che il talento sostituisce l'esperienza, che comunque inizia a non mancarle, e che la sua bravura eccezionale non si vede soltanto "nei panni della pazza". Tira fuori una fragilità tangibile, che riesce a far immedesimare ed emozionare non soltanto le donne. 
 Un filino sopravvalutato De Niro nei panni del padre di Joy, poco presente Bradley Cooper (anche se è innegabile la chimica sullo schermo tra lui e Jennifer Lawrence, motivo palese per cui O. Russell continua ad unirli anche in vesti molto diverse da quelle romantiche). Ma, personalmente, quello che ho più apprezzato di "Joy" era quello che pensavo: la storia di una donna intelligente, forte e senza paura. Una storia femminista che non si vanta del suo femminismo, ma lo spiega e lo mostra attraverso gli alti e bassi di chi lo ha fatto, il femminismo. Quel femminismo che non è sinonimo di disprezzo o finta indipendenza, ma che riesce ad accendere la speranza che la società si muova verso un domani in cui le pari opportunità non sono soltanto una frase fatta con cui ci si riempie la bocca. 


Se vi serve un buon motivo per andare a vedere "Joy", nei cinema dal 28 gennaio, e non vi basta la regia ottima, il cast stellare e la storia coinvolgente, almeno andateci perchè così se malauguratamente J. Law si ritrovasse con la statuetta in mano, voi sapreste il perchè.


 

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