martedì 13 gennaio 2015

Martedì notte: ricordi e scatoloni impolverati



E' mezzanotte e dieci, è martedì sera, vorrei dire che sono ubriaca ma ho ancora un briciolo di amor proprio quindi diciamo solo che ho bevuto un pochino. (C'erano due bottiglie di vino, due persone hanno bevuto un bicchiere e io ho buttato due bottiglie vuote. Non lo so come sia potuto succedere.)
No, domani non lavoro. E grazie al cielo, aggiungerei, perchè lavorare con un doposbornia come quello che avrò domani dovrebbe essere illegale.

Sono a casa, più precisamente sono nel mio letto (visto che mia mamma legge questo blog e si preoccupa sempre quando bevo troppo o quando le dico che i miei progetti per la serata sono "bere fino a che non svengo sul divano". Io queste cose le dico davvero. Sono io che ho problemi, mica mia mamma. L'onestà non paga mai.)
Ho passato le ultime tre ore a:
a) raccontare ai miei coinquilini cose che sono successe e che non avrei dovuto raccontare, se non altro per non riaprire scatoloni impolverati e nascosti nella memoria e perchè è stato come aprire il vaso di Pandora: è improvvisamente uscita fuori un sacco di merda.
b) mandare messaggi idioti a un sacco di gente. Principalmente amici. Principalmente persone che so domani non me lo rinfacceranno ma che comunque coglieranno al volo l'occasione per prendermi in giro al riguardo non appena ci vediamo. Dico "principalmente" perchè, seppure ancora un po' brilla, sono perfettamente consapevole di aver mandato quel messaggio o due di troppo che avrei potuto risparmiarmi. Questi messaggi sono il motivo principale per cui dovrei imparare a spegnere il telefono quando bevo.
c) rileggere il blog che ho scritto quando ero in America.Ho riso, ho pianto, ho ricordato cose che altrimenti sarebbero state perse nei meandri della mia memoria. Ho sentito un dolore forte al cuore che è il sintomo principale della mancanza, e ho cercato di analizzare tutto questo con la lucidità emotiva che soltanto un ubriaco solitario può avere.

"Non è che l'hai idealizzata un po'?" ha chiesto mio fratello l'ultima volta che abbiamo parlato dell'America.
Certo che l'ho idealizzata. This is what I do: io idealizzo le cose. Questo non vuol dire che io non creda al cento percento nella mia idealizzatissima idea dell'America. Questo non vuol dire che io non mi aggrapperò alla mia idea con tutte le mie forze, anche e soprattutto nella remota eventualità che l'America si riveli essere anche solo leggermente peggiore di come io me la ricordi.
Come ho scritto l'ultima volta: certe cose non cambiano.
Come mi ripeto tutti i giorni: l'ultima metà è l'America.

Negli scatoloni impolverati nascosti nei meandri della mia memoria, quelli di cui parlavo prima, ci sono cose alle quali di solito non mi permetto di pensare. Alcune perchè non è passato ancora abbastanza tempo, altre perchè non c'è ancora una soluzione, altre perchè fanno male e io non sono masochista.
Altre ancora, tutte e tre le risposte.
Arrivano dei giorni in cui, per quanto uno provi ad evitarlo, la vita ce la mette tutta per fartici pensare.

"In dreams, I meet you in long conversations. We both wake, in lonely bits, in different cities."

Quando non c'è una via d'uscita piacevole sarebbe meglio evitare il problema; quando il problema è inevitabile sarebbe meglio costruirsi un'armatura per evitare, almeno, di farsi male ogni santa volta.
Quando entrambe le cose sono impossibili, si chiudono gli occhi e si prega che qualcuno, per quanto lontano, si senta nello stesso modo.

"Will you sleep tonight, will you think of me? Will I shake this off, pretend it's all okay? That there's someone out there, who feels just like me. There is."




Tra le tantissime cose che ho idealizzato nella vita c'è il mio modo di scrivere di quando ero in America. Mi sono sempre riletta pensando "cavolo, ero brava. Quanto vorrei ancora poter scrivere così, ora non ho più niente da dire."
E invece, rileggere ubriachi aiuta.
Perchè ho capito che non è vero che non ho più niente da dire. E' che con l'età, l'avvento dei social media e qualche nemico in più sono drasticamente diminuite le cose che sembro essere disposta a condividere.
Per questo adesso ho scritto senza pensare due volte a quello che ho condiviso.
Magari tra una settimana lo rileggo e mi rendo conto che condividere tutto è l'unico modo che conosco per essere me stessa, ed essere me stessa è l'unico modo che conosco per scrivere bene.

Elucubrazioni a parte, tra 28 giorni torno a casa. Questo è il primo pensiero con cui mi sveglio ogni mattina, nel mio piccolo ma comodissimo e solitario letto londinese.



p.s. Hemingway diceva "write drunk, edit sober".
Io ho seguito solo la prima parte del consiglio, ma #yolo.

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