venerdì 27 febbraio 2015

Pensavo

In un letto troppo rosa, in una casa troppo in alto, in una città troppo lontana, in un paese troppo caldo, pensavo.

Pensavo che è difficile continuare a dire "no" quando la gente mi dice "tieni duro".

Pensavo che il mondo è immenso e io sono ancora troppo piccola per conoscerlo e troppo stupida per capirlo senza giudicarlo.

Pensavo che il tempo è relativo: un anno sembra lungo se lo guardi dal punto di partenza, ma al dodicesimo mese ti guardi indietro e ti rendi conto che non è altro che una goccia nel mare.

Pensavo che il coraggio non si misura in atti di follia, decisioni improvvise o piccole spontaneità: si misura in caparbietà. Il coraggio è quella fermezza nel cuore di chi fa qualcosa perchè è giusto, anche senza l'appoggio degli altri, anche se sembra stupido.

Pensavo che si fa presto a dire "io sono", ma esserlo richiede un'umiltà, un'onestà e una consapevolezza che spesso non mi appartengono.

Pensavo che New York deve essere davvero stupenda, e che quando sarà il mio momento sarà ancora stupenda. Quando sarà il mio momento tutti questi puntini si uniranno ed avranno un senso.

Pensavo che c'è qualcuno che si aspetta di vedermi fallire. Però nell'altro angolo del ring c'è qualcuno che ride se rido, mi abbraccia se piango e, soprattutto, risponde se chiamo. E io per quelle persone tengo duro.

Pensavo che nessun mare azzurro, nessun monumento dorato e nessun tramonto mozzafiato potranno mai competere con la bellezza delle rughe di mio padre, della risata di mia madre e delle domande di un bambino.

Pensavo che ci sono scelte che vanno fatte e che ci renderanno forti, ma più di tutto ci renderanno chi siamo. Che scegliere comporta sempre un sacrificio, che non è mai facile, ma che a volte è giusto così.

Pensavo che è ora di smettere di farmi la guerra. Che io sarò io, con la voce troppo alta, le gambe troppo corte, le lacrime troppo facili e i sogni troppo grandi. Pensavo che, per questo, è ora di perdonarmi.


"To thine own self be true."

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